mercoledì 2 luglio 2003 Non scrivo da alcuni giorni… (e qualcuno si è già lamentato!). Succedono così tante cose. E per fortuna non solo a me: la tregua è stata firmata. L’esercito israeliano si è ritirato da Gaza, e ora anche da Betlemme, dove sono andata pochi giorni fa. Sono
convinta che la tregua reggerà, anche se le difficoltà non
mancheranno, come al solito. Questa situazione non può continuare. La
gente è al limite. L’occupazione israeliana e la seconda Intifada
hanno portato alla catastrofe economica. Il popolo è in ginocchio. Se
non riprende il turismo, è veramente la fame per tanta gente. Ma
andiamo con ordine. Alcuni giorni fa, a Gerusalemme, sono tornata al Monte degli Ulivi, per andare all’orto del Getsemani, con ulivi incredibili, enormi, di molte centinaia di anni. E poi ho
visto la chiesa del Padre Nostro, che è suggestiva perché vi sono
grandi ceramiche murali con il Padre Nostro tradotto in 80 lingue. Bello
davvero. E poi, come dicevo, sono stata a Betlemme. Il check point era più allucinante/demenziale che a Ramallah. I soliti ragazzotti con fucili più grandi di loro mi chiedono i documenti. Parlano solo ebraico. Uno mi chiede il visto. Cribbio, hai il mio passaporto il mano, non lo vedi il visto? Devo farglielo vedere io. Mi fanno passare. I soliti muri di pietre, le macerie, lo stato d’abbandono, i segni della guerra. Che tristezza. E pensare che è proprio qui, quella grotta che noi ogni anno mettiamo vicino all’albero di Natale. Parcheggio lontano dal centro perché voglio andare a piedi. Tutto dorme. Vabbè: è anche perché io sono troppo mattiniera. In fondo al venerdì qui è festa! E’ bella Betlemme, ha un vasto centro storico, con un bel mercato. Quando arrivo alla chiesa della Natività, perdendomi fra strade e stradine, ci sono in giro pochissime persone. C’è un bell’ufficio per le informazioni turistiche, proprio in piazza, dove trovo tutte le cartine che mi servono, e un signore gentile è contento di parlarmi in un ottimo italiano. Alla chiesa della Natività, sono in piena funzione con il rito ortodosso, e i suoi bellissimi canti. Entro in punta di piedi. Quante cose vengono alla mente! Quanta storia. Quanti fatti e misfatti. Quante porcherie. Da duemila anni, una strage degli innocenti… E ora, per due anni di seguito, il divieto israeliano per Arafat di partecipare alla Messa di Natale. Come? Perché? Come può il mondo permettere cose del genere? L’impedimento di una libertà così fondamentale, addirittura non consentire una delle espressioni più belle e più alte del dialogo cristiano-musulmano. Per non parlare dell’assedio dello scorso anno, quando trecento persone sono rimaste chiuse qui dentro, per quaranta giorni. Insieme ai frati francescani, e anche ad alcuni giornalisti. Trecento persone che per quaranta giorni dormono sul pavimento di una chiesa: freddo, senza un materasso, una coperta, senza docce, senza bagni, senza scorte alimentari. Senza una spiegazione. Solo perché, in quel momento, si trovavano in chiesa. Tutto qui grida vendetta al cospetto di Dio. Quello che vive, che sopporta, che subisce questa terra, è uno scandalo incolmabile per l’umanità intera. (Potrà
mai esserci perdono? Non so. Non credo. Forse vorrei di no. E’ troppo.
L’umanità non può essere perdonata all’infinito). Mentre visito la chiesa, mi si avvicina un ragazzo che parla un italiano spagnoleggiante. Insiste per farmi da guida. Sostiene che non mi chiederà un soldo. Lo guardo storto: promesso? Promesso. Va bene! E comincia a spiegarmi un po’ di cose, le diverse confessioni che convivono dentro la chiesa, i mosaici bizantini, la cripta con la mangiatoia... Mi fermo in contemplazione della liturgia ortodossa. I monaci hanno voci fantastiche, e c’è un’acustica che fa venire la pelle d’oca. La grotta della natività. La grotta di Giuseppe. La grotta del latte (dove Maria andava ad allattare). Nello spazio della mattinata, mi fa vedere tutta Betlemme, e mi colpisce vederne tante. La vita di duemila anni fa avveniva nelle caverne. Ce lo dimentichiamo spesso: è da poco in fondo che abbiamo letti comodi, piumoni, rubinetti, internet… Chissà com’era, vivere nelle caverne… La mia
giovane guida è molto simpatica. E’ un bel ragazzo, con l’aria
furbetta. E’ vero, non mi chiede nulla, però… mi dice che vuole
farmi vedere il suo negozio! (figurati se non c’era l’inghippo..) Va
bene. Che dire? Mi dispiace
per la loro pressoché totale mancanza di clienti. La sua famiglia ha un
negozio grande, con tante cose tipiche di qui, i classici souvenir
religiosi e oggetti d’artigianato. Mi frega subito “No problem,
puoi pagare anche con la carta di credito!”. Ecco: non puoi
neanche dire che sei senza soldi! Da quando sono in Terra Santa, non ho
comprato ancora niente… è ora di cominciare. E poi, è un gesto di
solidarietà. Capitano a tutti i periodi neri, no? Mi compro un bel paio
d’orecchini, e una cosa per mia sorella. Vorrebbe portarmi ancora in
giro, ma ci salutiamo. Ripasso dal book shop, e visto che ormai mi sono
lanciata, compro due bellissimi (e pesanti!) libri. Nel frattempo vedo
all’ingresso un gruppone di turisti orientali. Meno male! Riattraverso
il mercato, il vecchio centro, faccio tante foto. La città ora si è
svegliata. Mi avvio alla macchina… non la trovo più! Cioè, non
ritrovo la strada per arrivarci! Ho questo sacchetto pesante da portarmi
dietro, la borsa della macchina fotografica,
fa un bel caldo a quest’ora, e io giro per Betlemme senza
trovare la strada per tornare alla piazzetta del parcheggio! Niente da
fare, chiedo soccorso a un taxista… e mi ci porta lui! Torno a Ramallah e ritrovo le pantofole (in senso più metaforico che letterale). Sto bene in questa casa. Non amo moltissimo vivere da sola, ma per ora reggo. Sabato
si lavora. In questi giorni c’è qualche difficoltà. Tutto procede
molto lentamente, mi rompo un po’. Bisogna prenderla molto easy,
come si suol dire. Domenica nuova trasferta. Questa volta cambio direzione, e mi dirigo verso il mare, a Jaffa. Quella che da noi anni fa era nota per i pompelmi. Che casino! Mi ritrovo bloccata negli ingorghi dell’autostrada per Tel Aviv. Appena si scende dalle montagne poi, fa un caldo infernale, e a me non funziona la condizionata. Poi non c’è neanche uno straccio di cartello per Jaffa, che pure dovrebbe essere una meta importante, così mi ingolfo ulteriormente nel traffico metropolitano. …Come diceva il mio collega Cristiano, in Somalia, (italiano che da anni lavora nel sudest asiatico con i contadini, una persona squisita), citando il vecchio nonno “Ci vogliono tre cose fondamentali nella vita: la prima è la pazienza; la seconda è la pazienza; e la terza è sempre la pazienza!”. Ed è
con pazienza che riesco a trovare la strada per Jaffa, a sopportare il
sudore, il traffico assurdo, a trovare un parcheggio vicino al centro
storico e infine a smollare l’automezzo! Finalmente vedo il mare. Bello. Di un azzurro intenso. Anche qui, nel centro storico, non c’è nessuno in giro. Io mi immaginavo un paesino tipo la nostra riviera ligure, pieno di gente, la domenica mattina. Rimango disorientata. Non trovo neanche un bar aperto per fare colazione sul mare. L’ambiente però è davvero molto bello, e faccio una marea di foto a tanti particolari delle case e dei vicoli. Ad un certo punto, da un angolo stretto, spunta niente meno che …una gita scolastica! Due classi insieme, con le insegnanti a spiegare l’architettura di Jaffa. Ma una cosa mi lascia di stucco: hanno la scorta armata! Due ragazze magre, sui 20 anni, e un ragazzo anche lui esile, della stessa età. Con questi fucili a tracolla, e vestiti in jeans. Seguono le due scolaresche a poca distanza. Non riesco a credere ai miei occhi. Provo a pensare come sarebbe se i bambini delle scuole d’Italia (non so quanti milioni) che fanno ogni anno gite scolastiche dovessero andare in giro con la scorta armata. Non riesco a immaginare cosa potrebbe venirne fuori. Non credo granché di buono. Essere costantemente con la convinzione che “il pericolo è in agguato”. Che “qualcosa può accadere da un momento all’altro, e tu devi essere pronto”. (Tipico della mentalità americana, come si vede nel documentario che ha vinto l’oscar Bowling for Colombine). E così si torna al discorso della società malata,… e abbiamo chiuso il cerchio. Del
resto, che dire? Quando finalmente ho trovato un bagno (meno male
funzionano bene i servizi pubblici perché di bar aperto manco uno) con
il custode mi scappa detto un “shukran” e lui si affretta a dirmi
”no, shukran è arabo, io sono ebreo!” che voglia di mandarlo a quel
paese! Tenetevi tutta la vostra sacrosanta razza eletta, e pure le
guardie armate per portare a spasso i ragazzini !!! Riprendo il mio giro. Trovo un chiosco aperto per bere qualcosa di fresco. E trovo pure una chiesetta piccola, segnata sulla guida, non so di quale rito perché ormai non tengo più il conto. E proprio in quel momento c’è la funzione, e la vedo perché hanno le porte aperte. L’officiante
sta facendo il giro della platea dando la benedizione. La gente si
inginocchia e aspetta il suo passaggio. Alcune donne anziane anziché
inginocchiarsi si sdraiano completamente, ventre a terra, nel corridoio
centrale. Coprono praticamente il passaggio. E quando il celebrante
arriva lì, loro non si alzano, perché aspettano di essere scavalcate
dal suo sottanone benedicente, anche a costo di fargli perdere
l’equilibrio. Lui le scavalca traballante, e procede verso l’altare. Questa ancora mi mancava. Donne totalmente sdraiate con la faccia a terra durante una messa. Bah. A volte
penso che il Creatore deve ben essere consapevole di avere creato una
banda di matti! Nelle
infinite religioni del mondo, ci sono talmente tante stramberie… Se è
vero che siamo fatti “a sua immagine”, si vede proprio che anche la
follia è divina! Mi
occorre altra pazienza per uscire da Jaffa, da Tel Aviv, dal caldo della
pianura, dall’autostrada,… e tornare alle “montagne” di
Gerusalemme, dove mi faccio un bel pranzetto dal mio amico Khaled. Il
quale lamenta, al solito, che non ci sono clienti e che loro con il
ristorante non ci campano, mentre prima ci vivevano tre famiglie. I
palestinesi non ce la fanno più. A Ramallah, in questi giorni sono stata accolta da padre Ibrahim come una nuova sorella nella chiesa cristiana della città. Cioè la chiesa di una piccola minoranza. A lui ho fatto un’intervista, che inserisco nel web. Mentre padre Alà, giovane prete, si sta prestando a darmi lezioni di arabo, ma peccato che fra 15 giorni se ne va, assegnato alla chiesa di Amman. E’
interessante conoscere anche il mondo cristiano mediorientale. E
conoscere, è uno dei motivi più belli del viaggiare. Un caro saluto. E un invito a tutti a venire in questa bellissima terra, tra questa gente che ora più che mai ha bisogno di solidarietà. (Perché i pellegrini smettono di pellegrinare nel momento della necessità??? Se i pellegrinaggi si fanno solo in tempo di pace, senza rischi, qual è la differenza tra i turisti e i pellegrini? ).
Silvia Montevecchi |
© Silvia Montevecchi