domenica
8 giugno 2003 Sono
arrivata finalmente in Terra Santa.
Ieri
sera, con un volo in ritardo di 4 ore da Malpensa. Controlli notevoli in
dogana, per sapere chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo. Il
mio pc è stato letteralmente vivisezionato con una macchinetta che
dovrebbe intercettare gli esplosivi. Pensavo che volessero smontarmelo! Erano
tutti molto giovani i controllori dell’aeroporto, e in maggioranza
ragazze. Comunque
è andata. Abbiamo passato l’esame, e siamo entrati nel caldo e nella
bianca luce mediorientale. Per
andare da Tel Aviv a Gerusalemme, ci si mette molto meno che da Milano
alla Malpensa (specie se si considera che il taxista italiano andava tra
i 140 e i 180, e sono stata in tensione per tutto il tragitto! ...amo la
lentezza). Questo dà subito l’idea di quanto sia piccola questa
terra. Sulla cartina sembrano tante città distinte, ma per noi è quasi
come parlare di piccoli comuni limitrofi. Viaggio
con Bruna, che lavora a Hebron da un anno, e Michele, che invece è qui
come me per la prima volta, ma resterà solo una decina di giorni.
Quindi Bruna ha casa sua, e ci deposita alla pensioncina che ci hanno
prenotato, di suore maronite, a due passi dalla Porta di Jaffa e dalla
Cittadella. Così io e Michele smolliamo i bagagli, e siamo subito a
tuffarci in questa città da scoprire.
Inevitabilmente attratti dall’architettura del suq,
affascinante con le luci della notte, lo immagino di giorno pieno di
gente. E’ un labirinto.
Ci piace perderci in questi meandri. L’atmosfera è bellissima.
Chiediamo un posto dove cenare e ce ne indicano uno che poi scopriamo
non essere quello che volevamo (classico locale per turisti) ma il
palazzo è interessante, c’è un terrazzo all’aperto, e mangiamo
bene. Poi ci rimettiamo a camminare, e sentiamo una musica a tutto
volume, che immaginiamo portare ad una qualche danza, così la seguiamo.
E in effetti arriviamo ad un ristorante al primo piano, nel quartiere
cristiano, dove si tiene una festa privata, di una grande famiglia, con
tanti bambini, e tutti ballano insieme, vecchi e giovani. Con i tipici
movimenti della danza del ventre. Restiamo incantati. Mi piace
moltissimo quando vedo adulti che ballano tenendo i bambini piccoli in
braccio. E’ così che i bambini imparano a ballare e a sentire la
musica, e infatti già quelli di 5 anni si muovono benissimo. Ci
beviamo qualcosa, e poi ricominciamo a perderci tra vie e viuzze. E così
arriviamo, senza averlo cercato, al Muro del Pianto. E’
davvero bello arrivare a Gerusalemme di sabato! E’ una festa
incredibile. Sono centinaia, o qualche migliaia le persone nella grande
piazza. Tutti con gli abiti ortodossi e/o dei khassidim, uomini da una
parte e donne dall’altra. Ballano, corrono... Da un lato è una grande
festa, ma sia io che Michele abbiamo l’impressione che ci sia
un’eccitazione collettiva fuori dalla norma, come se fossero tutti in
un delirio, in una trance, o semplicemente “fatti”! Sono moltissimi
e giovani, ed è incredibile per noi, abituati a considerare la
religione in ben altro modo, senza bisogno di segni esteriori, tanto
meno –poi- così forti. Alcuni hanno davvero un look incredibile. Già
i bambini hanno la testa rapata e i grandi boccoli che scendono dalle
orecchie. A Gerusalemme c’è anche un quartiere realmente yiddish, che
spero di visitare prossimamente. Lì, sembra proprio che il tempo si sia
fermato alle comunità ebraiche est-europee dell’inizio ‘900 (quegli
shtetl mirabilmente descritti da Moni Ovadia). Quando
arriviamo al Muro del Pianto sono circa le 23, e l’aria è bellissima.
Mi fermo in contemplazione. Sì, è bello essere qui, nel giorno dello
shabat. Continuiamo
ancora qualche giro per la città, poi andiamo a dormire. Sono felice di
essere qui. Questa
mattina, domenica, mi alzo con molta calma. Tiro fuori la guida, e
comincio il mio giro tra i luoghi sacri. Primo fra tutti: il Santo
Sepolcro. Che
meraviglia essere qui con poca gente! Mi dispiace moltissimo per gli
abitanti. Specie per questi innumerevoli commercianti del suq, che
sembrano implorarti di guardare la loro merce (e hanno una marea di cose
davvero belle!). Fino a due anni fa i turisti e i pellegrini erano
tanti, e loro non avevano bisogno di implorare. Ora, non c’è nessuno.
Sì, loro mi fanno pena. Ma non posso che apprezzare, per me, l’essere
qui con questa poca gente. E non oso immaginare cosa fosse prima, in
epoca di pace. Mi
commuovo. Questa basilica ortodossa è semplicemente bellissima. Arrivo
durante una messa, e i preti ortodossi hanno anche loro un look
incredibile, con quelle barbe lunghe e folte!
Ci sono varie messe in contemporanea, in lingue diverse, e
camminando tra le cappelle si sentono tanti canti. E’ davvero molto
emozionante. Da
un lato fa impressione, dall’altro fa sorridere, vedere tanti templi
diversi, uno di fianco all’altro. Una moschea attaccata a una
sinagoga, affiancate ad una chiesa greco ortodossa, a pochi passi da
quella luterana e poco più in là quella cattolica di rito armeno, e
poi quella di rito maronita e via dicendo. Sembra abbastanza assurdo. Mi
viene da chiedermi cosa pensa Dio, eventualmente, di tutto sto casino. Non
so. Per quanto lo si lodi, non credo che possa essere molto contento. Mi
sembra un grande zoo. E questa sensazione aumenta nell’arco della
giornata. Cammino
moltissimo, per tutto il giorno. La città vecchia in effetti è
piccola, ma le cose da vedere sono tante. Seguo le indicazioni della mia
guida, prendo la David Street, faccio un pezzo della “Passeggiata sui
tetti” e poi mi trovo (sempre per errore, non riesco ad orientarmi tra
questi vicoli!) in pieno quartiere ebraico. Bello. E’ proprio
interessante. Le rovine antiche, la vecchia via bizantina, e anche i
negozi, la gente, la stella di Davide appesa ovunque, alle finestre, tra
grandi alberi di bouganvilles. Percorro il mercato poi risalgo verso il
monte Sion, fuori le mura, e qui vengo abbordata da una guida che alla
fine... mi convince! Mi rendo conto che con uno del posto vedo un sacco
di cose in più, e in meno tempo, così ci accordiamo per due ore. Passo
dalla pensione a prendere la macchina fotografica. E così dalla fase
mistica passo senza ritegno a quella puramente turistica! L’anziana
guida corre più di me. Quasi non tengo il passo! Mi fa vedere una marea
di cose: andiamo sopra il
tetto del Santo Sepolcro, e poi al Cenacolo, attraversiamo il quartiere
armeno, quello ebraico e quello arabo, torniamo nel suq ma facendo la
Via Dolorosa, cioè le varie stazioni del Calvario, con le chiese e
cappelle che si incontrano lungo il percorso, e poi ci salutiamo alla
Porta di Damasco. A piedi percorro l’esterno delle mura fino alla
Porta di Santo Stefano, dove scendo nella Valle di Josafat per andare
verso il Monte degli Ulivi. Qui sono ormai stanchissima dopo varie ore
di cammino. Mi fermo davanti alla Chiesa delle Nazioni, ma ... ormai non
ce la faccio più a vedere altre chiese! Prendo un taxì per salire al
Monte. Mi fa vedere il Dominus Flevit, con la bellissima vista sulla
città vecchia, poi il cimitero ebraico, la Chiesa dell’Ascensione.
Sono sfinita dalla stanchezza! Scendiamo quindi verso la Valle, dove mi
fa vedere le Tombe dei Profeti e poi torniamo alla Porta di Jaffa.
Rientro alla pensioncina maronita, e piombo a dormire fino all’ora di
cena! Ho
una fame notevole, visto che ho saltato il pranzo per camminare, e mi
dirigo verso un piccolo risto proprio nella piazza all’interno della
Porta di Jaffa. Mentre mangio, quello che suppongo essere il titolare,
mi chiede di dove sono, allora mi dice di essere amico di un paio di
giornalisti del Manifesto! (Tra cui il corrispondente per la Palestina).
E così ci mettiamo a chiacchierare, mi racconta la sua vita.
Parliamo dei vari posti da vedere nei dintorni, e così va a casa
sua a prendere le fotografie che ha fatto quando con la moglie era
andato a Petra (dove spero di andare anch’io). In una foto, gli dico
che ha la faccia felice. E lui: “Sì! Sono sempre felice quando sono
nel deserto”. Mentre
mangio nel terrazzino del piccolo risto, in posizione davvero strategica
per il passaggio di gente, non posso non essere sconcertata per
l’incredibile fauna che presenta questo posto. Penso proprio che un
giorno mi ci piazzerò con la telecamera. E’ incredibile come va
vestita la gente, delle religioni più disparate. Passano i preti
greco-ortodossi con i loro lunghi abiti e le barbe, passano ebrei
ortodossi, con i boccoli e il grande cappello, donne musulmane con il
velo attorno alla testa e al collo, ragazze ebree con la gonna lunga
fino ai piedi, quelle più ortodosse in colori scuri, quelle
“alternative” colorate; e poi altri ebrei solo con la papalina,
turisti nordici con i pantaloni corti, giovani militari ebrei uomini e
donne con armi gigantesche, altri ebrei della sicurezza, in borghese, in
jeans, con radio in mano e pistola nella cintura dei pantaloni; suore di
ogni genere, luterani tedeschi di non so quale organizzazione
umanitaria, ... insomma, nelle due ore circa che passo lì, non mi sento
più in un luogo sacro, ma in una gran babele, dove ognuno va per conto
suo, e in effetti si parlano tante lingue, ma pochi – pare – si
capiscono. Faccio davvero fatica a capire questo bisogno di
esteriorizzare la fede. E in effetti, non riesco neanche a concepirla
come fede e basta. Noi, in Italia – che pure è il paese che ospita il
Vaticano - siamo abituati a
concepire la fede come un fatto privato, che non ha bisogno di gesti
esteriori palesi. Da noi un cristiano si veste come un buddista, come un
testimone di Geova, come un ateo, ... Qui, ognuno sembra volerti buttare
in faccia la propria identità, come se questa – in definitiva –
fosse più importante della fede. Perché poi alla fine è così.
Infatti, che se la fede
fosse più importante della religione (e dell’identità politica che
ne consegue), gente di religione diversa (che poi “gente” dovrebbe
essere uguale a “ E’
incredibile quante sono le concezioni di Dio. Alla fine, credo davvero
che ognuno di Dio ha il suo (basti pensare a quanti modi diversi di
essere e di pensare di trovano tra i soli preti cattolici! Tra diocesani
e missionari, tra una congregazione e l’altra... spesso in netta
contraddizione). Possiamo trovare tante definizioni e tutti i loro
opposti. Ognuna delle quali si pone con la stessa sicurezza, se non con
la stessa arroganza. Come dire: chi ha ragione? Uno? Nessuno? Centomila?
Esatto. Uno nessuno e centomila. Paradossalmente,
questo posto così sacro, mi fa quasi provare un senso di ridicolo,
forse anche di rigetto del religioso. Queste
persone (tutte queste mille differenze) sarebbero una ricchezza
incredibile, se fossero capaci di amarsi ed apprezzarsi. Siccome non lo
sono, ma ognuno si considera superiore a tutti gli altri, mi sembrano
tutte assurde. Frutti di
una umanità parecchio stupida, che di saggezza divina ne ha imparata
ben poca. E
dallo stesso balconcino, mentre medito su tutto ciò, mentre Kaled mi fa
vedere le sue foto di Petra, assisto anche ad un arresto. Mai visto un
arresto in Italia! Qui, ... al secondo giorno. Un
tipo si è parcheggiato sulla curva, proprio davanti a noi. NB: strada
stretta, antica, trafficatissima, con grossi autobus, ecc. Mi sembra un
po’ cretino, o forse (ammetto che l’ho pensato) è un israeliano
arrogante, che pensa di piazzarsi dove gli pare. Magari si ferma solo un
attimo –mi dico- ma è comunque un parcheggio fuori di testa. Invece
passa un bel po’, il tizio non ritorna, un autobus deve fare una
manovra assurda, e nel frattempo arrivano quelli che sono una via di
mezzo tra vigili urbani e polizia. Cercano il proprietario, protestano,
gli dicono di spostarsi immediatamente e non so cos’altro visto che
parlano in ebraico. Lui pure protesta. Si predispongono per la multa. I
poliziotti parlano piano e non mi sembrano particolarmente aggressivi. A
un certo punto lui comincia a urlare e sbraitare, e io già mi immagino
il peggio. Da noi non esiste che uno urli così a un agente
dell’ordine. Stranamente, loro non si agitano particolarmente. Non so
cosa dicono ma certamente sono molto calmi. Mi stupisco. Al ristorante
mi traducono nel frattempo che gli hanno fatto una multa enorme, 500
dollari!!! Loro scrivono.
Dopo un po’, lui ricomincia a urlare, anzi ancora di più, sembra
quasi che voglia menar le mani ai poliziotti. Qualche altro arabo
interviene per calmarlo, lui continua, e così... ecco che questa volta
si incazzano davvero, ed escono le manette! La macchina nel frattempo è
stata spostata, di poco, e rimane lì. Loro se ne vanno. In
generale, in tutta la città, si vedono moltissimi agenti della
sicurezza. Anche in borghese, ma con le radio in mano. Molti sono
piuttosto giovani. Si vedono molte scene di diffidenza, di sospetto. Non
posso non pensare “che brutto, vivere così”. Pago,
e saluto. Simpatico, Khaled. Ci tornerò. Quando
poi mi ritrovo con Michele, entrambi constatiamo un po’ sconcertati
che qui i prezzi sono decisamente cari. Sia quello che ho speso per la
guida, il prezzo per il taxi, quello per la cena ... tutto risulta più
caro di quanto lo avremmo pagato in Italia. Bisogna davvero farci
l’occhio! *** Ramallah,
mercoledì 11 giugno 2003. Sta
succedendo di tutto, e io non ho il tempo per scrivere. Devo essere
sintetica. Lunedì
ho fatto la mia registrazione al Consolato d’Italia, poi Bruna e
Michele mi hanno accompagnata a Ramallah. Nessun problema ai check
point, ma abbiamo comunque evitato quello più palloso, a Calandia,
e siamo entrati in città dal punto detto DCO, che è più veloce, anche
se comporta un giro di parecchi km. in più. Scaricata
all’ufficio dove dovrò lavorare, vengo caldamente accolta da miei
nuovi colleghi, tra cui un’americana (di mamma palestinese cresciuta
in Inghilterra), che mi adotta per qualche ora facendomi fare il primo
giro della città, in attesa di trovare il padrone della casa che è
stata affittata per me. La
città non è enorme ma girandola in lungo e in largo, non riesco più a
raccapezzarmi. Ci mangiamo un falàfel. Portiamo la macchina a far
lavare. Finalmente
il padrone di casa ci richiama. Ci troviamo al mio appartamento con
questo signore alto ed elegante. Giacca e cravatta. La casa è grande
per me da sola (ma poi scopro che qui sono tutte enormi!),
incredibilmente vuota, nonché... da pulire a fondo!!! Questo non era
preventivato. Inoltre ...il satellite è smontato. Insomma:
passo tutto il giorno con un collega dell’ufficio, Youssef,
(dell’ong Bisan che trovate tra i link) a cercare di
organizzare la casa. HO BISOGNO DI UN LETTO!!! Imparo
subito che qui è molto facile trovare mobili ottimi di seconda mano,
perché evidentemente c’è molto ricambio, gente che va e che viene.
Così, mi dicono di una famiglia che ha deciso di smollare la Palestina,
per tornare in Giordania, dove si vive meglio. Compro subito i mobili
per due camere da letto, ottimi, di buon legno, per 250$. E poi anche il
tavolo di cucina, sedie, asse, ferro da stiro, ventilatore. Il
problema è il trasporto. Molto faticosamente e dopo vari giri troviamo
un falegname disponibile, che con un lavoro pesante di diverse ora
smonta ogni mobile, carica letti, armadi, scrivania, comodini,
materassi, non su un camion bensì sul tetto della macchina. Porta il
tutto a casa mia, e paziente (e con sudore) lo rimonta. Nel frattempo ho
comprato anche coperte, cuscini, lenzuola, asciugamani, scopa, stracci,
saponi vari... Pulisco la stanza che prendo per me mentre il falegname
monta i pezzi. Alla sera alle 9 la casa è abitabile! Non ho neanche la
forza di lavarmi, e soprattutto... il bagno è fetido! Il martedì lo passo ancora con Youssef per finire il resto dell’arredamento. Ho un budget totale di 1500$ per prendere il necessario. Cerchiamo due ragazzi di una società di pulizie, che sgurando tutta la mattina mi rendono la casa vivibile. Nel frattempo, sempre di seconda mano, con Youssef (che sta attento a non farmi fregare sui prezzi) recupero frigorifero (enorme anche questo!) e gas. Cerchiamo i tizi che vengono a montarmi il satellite. Mi dicono che manca un pezzo (era incluso nella casa e doveva essere ok) così devo mettere in conto 60$ per avere la tv funzionante. Mentre i due ragazzi sgurano, Youssef da contabile a traslocatore... ora mi aiuta anche a montate le tende! Sta diventando carina. Manca
il salotto. Lo recupero a casa di Wafa. Altra collega, anche lei con una
casa per noi semplicemente inconcepibile (non so, mi sembra di ritrovare
un po’ della mania di grandezza tipica di arabi: salotti enormi, tanti
mobili; mi dicono però che questo è dovuto alla tradizione di
ritrovarsi spesso in famiglia, e hanno famiglie numerose, con tanti
figli, nipoti, cugini ecc. per cui sono davvero decine di persone).
Devono arredare la casa del bambino, così eliminano un salotto (ne
avevano 2). Lo compro immediatamente. Questa volta cerchiamo qualcuno
con un camion! Poche ore dopo ho anche il soggiorno arredato. Casa
fatta, in due giorni. Ora posso essere operativa. Mercoledì
pomeriggio (oggi) comincio subito il lavoro con una bella occasione.
Finiscono le attività dell’anno scolastico, così al centro giovani
per il quale dovrò lavorare, c’è la celebrazione con consegna degli
attestati per i corsi seguiti. Arrivo
al campo di rifugiati di Al-Am’ari (profughi dal 1948!). Questo
centro, durante i bombardamenti israeliani sulla casa di Arafat, si è
beccato una bombetta sulla testa. Così è crollato un pezzo in cui
giocavano e lavoravano i bambini di età scolare. Morale: ora le attività
si fanno in mezzo alle macerie. Quando
entro nella sala allestita per l’occasione (con tante sedie piene di
ragazze e ragazzi, e un angolo con musica e amplificatore)
immancabilmente... mi commuovo! Non
posso non provare una grande solidarietà, e un gran senso di stima per
questa gente, la cui povertà è ben visibile. Una povertà buttata
addosso, imposta. Eppure, questi ragazzi e queste ragazze, sono lì a
darsi da fare, a lottare per crescere, per imparare qualcosa di più,
faticosamente. L’inglese, la matematica, l’informatica... Alcune tra
le ragazze, in barba alla semplicità dei mezzi e alla sobrietà
islamica, riescono ugualmente ad essere molto carine e anche sexy. Mi
sento in un luogo di Resistenza. Resistenza vera. Per sopravvivere. Per
vivere. Per non soccombere. E
mentre noi siamo lì che sorridiamo e consegniamo i diplomi, un ennesimo
kamikaze si è fatto esplodere a Gerusalemme, non lontano dal ristorante
in cui ero seduta domenica sera, a parlare con Kaled. E’ la risposta
di Hamas all’attentato israeliano di ieri, per tentare di uccidere uno
dei suoi leaders sparando su un’auto 5 satelliti, che invece hanno
ucciso una donna che non c’entrava nulla, insieme alla sua bambina,
mentre lui ne esce quasi indenne. Proprio ora che si parlava della Road
Map! E i leaders
israeliani dicono che “dovevano difendere i loro cittadini”.
Complimenti. Il kamikaze di oggi, in un autobus affollato, ne ha uccisi
16 di israeliani, e molti altri sono rimasti feriti, anche gravi. Subito
Sharon risponde con altri missili da un elicottero, su un’altra
presunta auto di Hamas, a Gaza. Botta
e risposta. Continuamente. Da parte di entrambi. E’
un gioco abbastanza idiota. Perfino
i bambini generalmente si stancano, prima o poi, di farsi i dispetti.
In genere uno dei due arriva da te (la maestra-arbitro-paciere) a
dirti “lui mi ha fatto questo!!!” E piange disperatamente. Spesso la
maestra interviene in qualche modo, a volte anche solo mettendoli
entrambi “in castigo”. La scuola serve anche a questo. A fare in
modo che da grandi si sia meno idioti. Evidentemente
qui non ci sono stati “buoni maestri”. (E dire che questa… è la
terra dei Patriarchi. Abramo Isacco Giacobbe. La terra di Mosè, e di
tutti i più grandi profeti). E diventati grandi, i bambini che litigano
non hanno più alcuna maestra che dirima la situazione. Saluti
palestinesi,
|
© Silvia Montevecchi