Venerdì
28 febbraio - Sabato 1 marzo, 2003 Sono
ad Arezzo, dove Ucodep[1][1] mi ha invitata per una
conferenza su Minori e guerra. L'ultima
volta sono stata qui nell'estate 2001, in bicicletta[2][2]. Appena esco dalla stazione,
immediatamente mi si affaccia l'immagine di due vacanzieri 40enni che
caricano le loro biciclette su un pullman, nel sole d'agosto, per andare
fino alle foreste del Casentino, fino al monastero de La Verna. Sono
ospite di Liviana, l'amica della Libera Università dell'Autobiografia,
delle belle giornate passate al castello di Anghiari. Ogni volta a casa
sua rimango colpita dall'atmosfera della sua famiglia. Dalla dolcezza
della figlia 20enne, studentessa di medicina a Bologna, attiva
pacifista, che non risparmia coccole a nessuno dei parenti, in
un'affettuosità costante. La
Palestina. Qualche tempo fa
mi hanno proposto di andarci. Mi piacerebbe. Mi chiedo quanto potrei
reggere. Temo ben poco. Non ho dimenticato il trauma della Sierra Leone.
Il mio tornare in assoluto burn out, e restare poi a lungo con
l'annichilimento dato dal sentirsi "senza via d'uscita". Mi
dispiace. Mi sento la resistenza di una cacca. Voglio dire: come faccio
a "non resistere"?! Loro
ci vivono. Ci vivono sempre. E io non riuscirei a starci un paio
d'anni??? Del
resto, come ci vivono? Ci sopravvivono. Molti si fanno ammazzare, per
quel sentimento di nichilismo. Poco si parla della depressione portata
dalla guerra. Si parla sempre solo delle perdite concrete, fisiche: la
gente che muore, le cose distrutte,… Poco si parla
del sentimento dato dalla guerra, che rimane per anni, anche a
guerra finita. Per nulla si parla del torpore che ti mette dentro,
quello per il quale a volte neppure i cooperanti reggono. Innescano la
via di non ritorno. In Pappagalli verdi mi pare, Gino Strada racconta di
una sua infermiera che si uccide. So che è successo ad altri, anche
nella guerra di Bosnia. Forse soprattutto a chi lavora in campo
sanitario. Sono quelli che vedono il peggio. La
guerra ti fa vedere la morte. Te la fa introiettare.
La respiri. La ingurgiti. Per questo poi è difficile uscirne. Io
sono stata in paesi in guerra solo pochi anni. Ci sono andata che ero già
adulta, ed ero cresciuta e vissuta per anni in un paese positivo, senza
respirare morte o oppressione. Eppure mi è bastato pochissimo per
sentirmi il sentimento della guerra addosso, come una metastasi, che ti
divora, e ti toglie la voglia di fare qualunque cosa. Come
può sentirsi chi quel sentimento lo ha vissuto, da sempre? Anzi, è
l'unico che conosce. E poi ci si meraviglia che uno a 16 anni si faccia
saltare in aria! Scusate tanto, voi che ce l'avete tanto con i
"terroristi", ma non ve lo hanno mai spiegato che ciò che un
bambino respira nei primi anni della sua vita, gli resta dentro per
sempre? Non vi hanno mai spiegato che l'amore nasce dall'amore, e l'odio
genera odio??? (da dove viene la filosofia secondo cui si può creare
pace e ben-essere sparando bombe sulla testa delle persone?). Sì,
è bello essere qui. Questo è il bello della vita. Poter girare, e respirare, e introiettare cose belle,
positive. Pioviggina, ma è bellissima questa città.
Fotografo ovunque, come al solito. Ormai è una specie di
malattia. Quasi il bisogno continuo di portare la bellezza con me,
riprodurla, darla agli altri. Fotografo queste porte antiche, questi
tetti, questi balconi. Ogni volta questa città mi regala una sorpresa.
Nel 2001 piazza Grande era
agghindata per la Giostra del Saracino. Adesso è gremita da questi
antiquari con le cose più diverse: bicchieri di cristallo colorato,
mobili di campagna, mobili antichi, dorati, in stile veneziano,
cartoline antiche, ritoccate a mano, ceramiche, acquasantiere, letti di
ferro battuto, tessuti ricamati, e pizzi e merletti, libri antichi,
grammofoni,… c'è di tutto!
La
collezione della bellezza per poterla conservare, ricordare, annusare
nei secoli, condividere, offrire ai posteri. Cammino con la gioia che mi
entra dentro, divertita, come un bambino nel paese dei Balocchi (pinocchiesco,
benignesco…) e giro, mi rigiro, fotografo, potessi.. farei anche
capriole… poi a un certo punto… ecco che ritorna. La Palestina. Il
ricordo è come un tonfo. Come sbattere contro un muro ai 150 all'ora. Come
fai a crescere senza tutto questo?
Ecco, proviamo a pensare: in ogni momento, mentre noi respiriamo
la bellezza - un bel film, una spiaggia, un mercato, le sue migliaia di
cose … - in ogni singolo momento da qualche parte, da molte
parti, c'è qualcuno che di questa bellezza non ne sa nulla, non la
immagina neppure, non l'ha mai annusata, non la può assorbire,
deglutire, introiettare. Quindi
non può averla. La
fortuna o la sfiga ti stanno addosso, nel DNA. A seconda di dove nasci e
da chi. La tua vita è segnata al momento del concepimento, a seconda di
chi ti ha concepito e dove. Come
i bambini con cui lavoro. Mi ritrovo in uno dei quartieri più famosi
d'Italia (quanto a sfiga). E così mi ritrovo a lavorare con il piccolo
Dario (…nome ovviamente inventato). Mamma che “non c'è” con la
testa, papà con problemi vari. E a lui, che ha 4 anni, chi glielo
insegna a tenere una matita in mano? A tenere tra le sue ditina un
piccolo paio di forbici? E' perso il piccolo Dario. Ti guarda sempre con uno sguardo
smarrito, che non riesci a interpretare. Cosa pensa? Ha paura? Ti
capisce? Gli dai fastidio? È contento? E
mi ritrovo con il piccolo Alfredo (=come sopra), che ha la madre
tossicodipendente, senza papà. Nessuno si occupa di lui. Non lo lavano
neppure. E certi giorni fa una puzza tale che gli altri bambini lo
evitano. Lui ha sempre uno sguardo triste, serio, anche quando mangia.
Come si vorrebbe potergli dare qualcosa! Continuo
a girare tra le bancarelle della fiera antiquaria. A fare foto anche.
Non posso più "fare capriole". Mi sono schiantata contro un
muro. Ho lo stomaco a pezzi. Vorrei gridare. L'immagine
di chi sta male mi si mescola ai bicchieri di cristallo colorato, alle
stoffe dorate, ai film di Benigni, alle bandiere della pace, che
sventolano anche qui, e per tutti i km. che percorro con il treno. Va
bene così. La felicità e il dolore insieme. La bellezza e la
sofferenza. Perché non possiamo dimenticare. Mai. Finché
ci saranno bambini e adulti che non possono vivere la bellezza, non
possono respirarla, deglutirla, assorbirla
come si assorbe il calore del sole, finché dei bambini cresceranno
nell'orrore, noi avremo l'orrore sulla terra. Silvia
(nella foto insieme a Liviana) [1][2] Il racconto di quella vacanza è disponibile sul mio sito, tornando alla home page, e poi “vacanze in bicicletta”. © Silvia Montevecchi |