Silvia Montevecchi
IL SOGNO OSTINATO
Postfazione Il mio contratto di lavoro a Berbera finiva nel luglio del 1999. Fabio portò a termine i lavori di ristrutturazione i quali, mi hanno detto hanno davvero cambiato il volto della città. Il Somaliland ha proseguito il suo cammino di pacificazione e sviluppo, e la ripresa economica è stata molto rapida. Tornai a casa e inaspettatamente Coopi mi propose di partire per la Sierra Leone, per un progetto di emergenza dell' Unicef-Freetown per il sostegno e il recupero dei bambini soldato. Accettai subito e senza riserve: era una problematica che conoscevo e per la quale ero felice di lavorare. E' stato un periodo tanto affascinante e coinvolgente quanto duro e difficile. La violenza e la sofferenza che ho conosciuto in quel paese mi misero ko. Ci rimasi tre mesi durante i quali si lavorò moltissimo, con tanti bambini, in condizioni di fortissima pressione e tensione, sempre con un piede pronto a evacuare, a correre verso il primo elicottero in caso di attacco armato. Ho amato moltissimo il paese, i ragazzi, il centro di accoglienza in cui operavamo, a Lakka, fondato anni prima dai missionari saveriani. Era, ed è ancora, su una spiaggia meravigliosa, che in tempo di pace accoglieva turisti mentre ora accoglie piccoli derelitti in cerca di una famiglia. All'inizio del 2000 sono tornata poi in Somalia, per un progetto identico al precedente, ma in tutt'altra zona: nell'estremo sud del Puntland. A Galkayo ho fatto più o meno le stesse cose che facevo a Berbera, ma in condizioni di maggiore arretratezza e di fondamentalismo islamico. Il paesaggio è invece molto più bello. Anche qui ho avuto rapporti molto belli con tante persone locali, benché a Galkayo ho passato sei mesi difficili per via del grande isolamento, in un contesto desertico e culturalmente non favorevole alle donne. Dopo quasi quattro anni di residenza a Nairobi, (cioè da quando ero partita per il Burundi) ti ritrovi un giorno nell'ufficio anagrafe del tuo Comune a riprendere la residenza nella città natale. Il "ritorno a casa" è così sancito da un atto ufficiale e simbolico insieme, che marca la differenza con i ritorni a casa precedenti, che erano solo periodi di vacanza. La mia voglia di viaggiare e conoscere (al contrario) non è certo finita. Ma la stanchezza provata e accumulata durante tutte queste esperienze è stata tanta. Il giovanile sogno d'Africa ha ceduto il passo a tante difficoltà e amarezze. L'Africa conosciuta a vent'anni ha continuato a precipitare vorticosamente verso il baratro: la miseria e la violenza che vi si incontrano non sono descrivibili a parole. L'inquinamento è pazzesco, la povertà disumana, la mancanza di diritto sembra rasentare la follia. Avere toccato con mano alcune delle guerre più cruente del pianeta, le modalità del turismo sessuale in Madagascar, le caratteristiche dell'integralismo islamico nella seconda esperienza somala, mi hanno portata al bisogno di mettermi - almeno temporaneamente - in stand by. Torno a casa, come molti colleghi, con molta tristezza. Anche, in certo senso, "con la coda tra le gambe": di tutto ciò che si pensava in termini politici e sociali all'epoca degli studi universitari, rimane davvero assai poco. L'Africa è ancora, in gran parte, terra di conquista, di colonialisti approfittatori e razzisti, anche se il look e il modo di fare sono diversi da un tempo, e ovviamente sono diverse le attività finanziarie. Ma sempre di business si tratta, anche nel campo degli aiuti umanitari, molto speso. Il dialogo tra le culture è in gran parte un miraggio anche per "le culture", ormai, non esistono praticamente più. Tutto è stato omologato, livellato, e solo in senso negativo. Perché se in una grande metropoli africana trovi il casino delle macchine e dei centri commerciali, certo non vi trovi i parcheggi multipiano, le metropolitane, i marciapiedi e le piste ciclabili, o le campane per il riciclaggio dei rifiuti! Trovi tutto il peggio delle metropoli, senza (o quasi) gli aspetti positivi delle città europee: le mostre, i giardini, i teatri, gli ospedali pubblici, le scuole, le biblioteche, le stazioni ferroviarie,... E purtroppo di questo baratro sconvolgente non si vede davvero la fine, anzi. I paesi in guerra sono ancora moltissimi (e dimenticati). Ben pochi quelli con un regime democratico stabile e reale per tutti, anche per i poveri. A tutto ciò si sommano esperienze personali non sempre felici. Come ho scritto più volte, il deserto ti mette davanti tutta la tua vita, senza appello. Sei ciò che sei, sconfitte e vittorie, ricchezze e miserie, felicità e abissi. L'esperienza della solitudine, pur così difficile, è però probabilmente ciò che mi rimane di più arricchente da questi quattro anni d'Africa. La sensazione di avere toccato fondali così pazzeschi che a volte mi stupisco di esserne uscita viva. E questo mi fa apprezzare il grande senso educativo dei riti iniziatici delle popolazioni tribali di un tempo. Nelle nostre società moderne, ci siamo abituati sempre più a proteggere i bambini contro il "male": il dolore, il pericolo, il trauma,... Ma avevano ragione loro, i popoli tribali. Sbattevano i ragazzi davanti alle avversità della vita, in solitudine: vincere o morire. Solo dopo la vittoria sei adulto. Ho sperimentato sulla mia pelle che proprio questo essere solo ti fa diventare adulto, aperto alla comprensione e alla saggezza. Quando acquisisci la certezza di avercela fatta. Allora la paura non esiste più. Sei un uomo, e puoi andare con fierezza incontro alla vita e alle sue sfide. Oltre a ciò, rimangono i meravigliosi ricordi, le immagini negli occhi, gli odori, i suoni, l'aria tra i capelli... Il ricordo fantastico degli eucalipti del Burundi, dei bambini che visitavo nei campi, che prendevo in braccio, con i loro cenci addosso e le loro pance gonfie... I sorrisi dolce, felici a volte e altre afflitti, dei contadini, delle donne,... quelle stesse donne che in Burundi, in Sierra Leone, portavano i bambini sulla schiena, e in Somalia mi invitavano nelle capanne a prendere il tè, ...e quel sublime aroma di cardamomo... Il ricordo magico di Lakka, sull'oceano,... delle ragazze dolci che mi hanno massaggiata e coccolata in tanti paesi, e che felici mi facevano vedere cosa potevano comprare con lo stipendio che guadagnavano massaggiandomi,... Gli amici e le amiche di tanti posti, con cui ho passato giorni e notti a raccontarci la vita,... Le baie del Madagascar, le terrazze di riso, le palafitte di Manakara,... Le savane del Kenya, le architetture swahili, i sorrisi, sempre e ovunque... I ricordi sono migliaia, migliaia, ... Ti affollano il cuore, quasi lo opprimono, in una somma di gioia e nostalgia, amore e dolore, rimpianto e amore ancora... Tutto ciò che ho visto e conosciuto mi ha fatto spesso invecchiare di mille anni. Ma sono felice di ciò che ho fatto, di tutto ciò che ho amato. Per questo vi lascerò con alcune immagini che scrissi mesi fa, tra me e me, al ritorno dalla Sierra, aspettando la partenza per Galkayo. Gennaio 2001.
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Sono felice perché … Perché ho visto i lemuri Ho
sentito le loro grida Li
ho visti giocare sulle cime degli alberi Liberi Perché
ho incontrato lo
sguardo dei masai nelle
loro terre tra
le zebre e le gazzelle Perché
sono cresciuta a Cereglio E
ho visto le notti con le stelle E
centinaia di lucciole Piccole Centinaia Perché
ho sentito l’odore del
fieno tagliato Perché
so cosa sono le ciliegie e
le adoro Perché
ho visto la primavera. E
sono rinata. Tante volte. Perché
so ballare E
amo ballare E
ballerei sempre, fino all’alba Perché
sono stata nelle grotte dell’Ankarana e
ho visto la luce oltre la foresta e
sentito l’eco incantevole dei piroquets in
gole fantastiche dove
erano i padroni del mondo Non
lo dimenticherò mai più. Perché
ho preso il te nella
capanna di stupende donne somale tante
volte. Con
il cardamomo. Perché
ho la musica La
posso scegliere. Secondo i momenti. Posso
sentire l’arte di compositori d’ogni
dove, e vibrare. Perché
ho conosciuto il mondo. Perché
ho visto i bassifondi, ho conosciuto
puttane e bastardi. Perché
posso farmi la doccia con
una bella musica. E poi spalmarmi
di crema Perché
sono stata ai concerti di Maurizio e
ho gioito Con
i suoi flautini d’ottone i
suoi capelli lunghi E
quella sacca faticosa della cornamusa Perché
ho dormito a Lakka e
le onde dell’oceano mi cullavano tutta notte e
sentivo sul terrazzo le vocine delle bimbe che
venivano a farmi visita Perché
ho preso il treno tante
volte e
ho percorso i colori intensi della
Conca d’oro. E
il mare dal finestrino. Per chilometri. Perché
col treno sono andata a Manakara e
ho attraversato la foresta che
entrava dai finestrini. Si
vedevano decine di cascate. Perché
so scrivere. E amo scrivere. Come
amo fotografare. Perché
ho visto la neve, tanta Ci
ho camminato in mezzo e
l’ho mangiata Perché
posso parlare e comunicare in
due lingue oltre
la mia Perché
amo il cinema Amo
andarci da sola e
godere di
film stupendi Perché
ho viaggiato E
ho visto le mangrovie ho
visto le savane e i deserti ho
visto le architetture meravigliose dei
popoli più diversi Perché
posso vedere le luci del Natale Andare
al portico di S.Lucia e
comprare il torrone al cioccolato Perché
ho visto l’eclissi Ero
con mia madre E’
stato meraviglioso tra
i boschi sull’Appennino
Umbro Marchigiano L’aria
sì è fatta fredda Il
cielo – azzurro – era come filtrato Non
lo dimenticherò mai più Perché
ho tante foto Amo
fotografare ricordare e
faccio tanti album che
le persone amano guardare Perché
sono un costruttore di pace E’
mia scelta e mio destino E
così facendo, Dio mi ha consegnato una
grande maternità Perché
ho festeggiato un nuovo millennio Ho
visto le feste in tutto il mondo ed
è stato bellissimo. Perché
ho sentito i muezzin che
mi svegliavano ad ogni ore per
onorare e rendere grazie a Dio Perché
ho amici e
amiche molto
cari
Perché
sono stata ad Assisi. Ed è
così bella ….
Silvia
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© Silvia Montevecchi