23 ottobre 2004

Attraverso così tante dimensioni

che a volte, quasi, mi spavento.

 

Mi succede spesso questa sensazione in Africa, di attraversare tanti mondi, nello spazio di pochi attimi, e di neanche tanti chilometri. A volte, anche stando nello stesso posto.

Tra Somalia e Kenya, bastava fare un'ora di volo per trovarsi in universi ancestrali infinitamente diversi. Con tutti i loro diversi orizzonti, sistemi di valori, diversi sentimenti...

Qui, è nello spazio di uno stesso paese che trovi un'infinita distanza. Del resto, fa parte della bellezza delle culture umane. Anche in Europa. Anche in Italia. Provo a fare un esempio, per me abbastanza forte, di posti che amo entrambi. Li penso uno a fianco all'altro.

Da un lato, il centro storico di Ragusa, le sue strade strette e ripide, le case di pietra grigia, gli aridi pendii dei monti Iblei... con tutto il clima siciliano, donne anziane vestite di nero, uomini con la coppola, cibi mediterranei carichi di spezie, di sapori agrodolci, di pesce,... E volendo possiamo aggiungere le immagini di Montalbano, Sciascia, Verne, Pirandello, Tornatore,...   Dall'altro lato, il centro storico di Bressanone, con le sue genti di varie lingue , negozi italiani e tedeschi, caffetterie con la cioccolata calda e lo strudel, la grappa al pino mugo, o ai mirtilli, torrenti pieni d'acqua, malghe isolate riscaldate dal solo fuoco di una grande antica stua, i mercatini di natale e, per certi periodi l'anno, orde di sciatori...

Ecco. Un contrasto più o meno così. Solo che in Africa mi capita quasi di continuo. Questa sensazione sconcertante di passare da un mondo a un altro. Da una realtà a un'altra. Al punto da non capire più dove sono. Chi sono. Cosa faccio. Cos'è quello che vedo. Cos'era quello che vedevo prima. E ancora più pressanti, quotidiane, amletiche si fanno le domande "ma chi siamo, dove siamo, da dove siamo venuti, cosa stiamo facendo, perché, cos'è la realtà..."

La realtà cambia di ora in ora. Da una valle a una collina, a un villaggio, a un deserto,... E cambia anche se solo noi giriamo lo sguardo.

La settimana scorsa, finalmente, dopo il tentativo fallito ad agosto per via delle piogge, sono riuscita a raggiungere il Guerà, e la città di Mongo, che fa parte del progetto per cui lavoro. Che differenza con il sud del paese!  Qui gli alberi, anche piccoli, sono oggetti rari. Mano a mano che si lascia N'Djamena verso il nord-est, il sahel incalza. La savana arbustiva si fa via via sempre più rarefatta. I cespugli sempre più esigui, e sempre più spinosi.  Il Guerà è una regione montagnosa, e dopo centinaia di km piatti, anche solo delle colline aspre e rocciose sembrano grandi alture. Ci arrampichiamo per vedere le case di Mongo dall'alto. Bello!

Non è solo il paesaggio che cambia. E' tutto. La storia, la religione, la lingua (le lingue, tante, tantissime in questo paese), l'economia... Il nord del Ciad è a maggioranza islamico, mentre il centro-sud è a maggioranza cristiano. Il nord è composto da etnie provenienti dall'est, che parlano per lo più l'arabo, e in maggioranza si dedicano all'allevamento nomadico (devastante, sul piano ambientale). Il sud è composto da etnie provenienti principalmente dall'Africa centrale e occidentale, parlano molte lingue diverse tra cui la più diffusa è il sarà, e praticano l'agricoltura e la pesca.

Passare da un mondo all'altro, non so come dire, è come essere shekerati dentro a un frullatore.  Quando esci, non capisci più niente! Almeno, questo è l'effetto che ha fatto a me, ovviamente, dopo aver fatto per tre mesi vari giri a sud, e uno solo a nord.

Nel sud mi sento meravigliosamente. Come ho già scritto varie volte, la presenza di alberi maestosi rende quella terra per me seducente nel senso più latino del termine: se-ducere. Mi tira a sé. Come la mano di un guaritore filippino che ti prende il cuore e lo tira, così sento il mio cuore tirato da quegli alberi. E tutto il resto del corpo non può fare che seguirlo.

Allo stesso modo, l'aridità del nord mi respinge. Ci sono stata pochi giorni, ma per vari motivi mi ci sono sentita piuttosto male. Affascinata sì. Con la voglia di vedere e di conoscere. Al punto che ho organizzato il week end in modo da proseguire oltre, per andare fino ad Abeché (verso i confini col Sudan) e alle antiche rovine del palazzo del sultano di quella che era Ouarà: la capitale del Regno di Uaddai.

Il paesaggio è affascinante, certo. Anche lì, come sempre, ho fatto foto e riprese video. Ed era affascinante la storia. Ci ha accompagnati una guida locale, direttore del museo di Abeché, che ama molto la sua terra e la spiega bene. Ad ogni modo, come dire: una volta basta. Molto bella l'architettura del mercato di Abeché. Ma non ci tornerei. Non mi tira a sé. Al contrario, proprio mi respinge. Se penso a quel sole che ti cuoce anche il cervello, a quei km di deserto e steppa, con pochi bambini selvatici qua e là, che si bagnano e bevono insieme alle loro vacche, nelle rare pozze d'acqua... Se poi aggiungo i visi - molto belli ma poco accoglienti - degli uomini con l'aria sfatta per via del terzo giorno di Ramadan... beh, ecco fatto il pieno!

E ora che sono di nuovo a N'Djamena, ripensando a quel mondo, che qui è infinitamente lontano, ecco di nuovo la sensazione del cocktail. Ma anche qui, nella stessa N'Djamena, il frullatore (o lo shaker, come preferite) continua il suo lavoro incessantemente. Come dicevo, non occorre fare km. Basta cambiare lo sguardo. E oggi  infatti questa sensazione dei "tanti mondi" l'ho avuta senza neppure spostare i piedi.

Bastava guardare dentro o fuori il giardino del Meridien, dove ho passato la domenica. Anche questo giardino dà sensazioni molto belle, perché è ricco, rigoglioso, con bellissime piante. Ho fatto ginnastica in costume tra le foglie dei banani e i tamarindi. La piscina non è molto grande e l'architettura generale mi piace molto. Non c'è mai molta gente. Di domenica un po' di più. Famiglie di francesi che lavorano qui, con i loro bambini. La cosa più bella di questo albergo, è che ha una splendida vista sul fiume (che per me è la cosa più bella di N'Djamena). Se si rimane fino al tramonto, l'orizzonte è semplicemente da mozzare il fiato. O da rendere grazie.

Ed è proprio lì che ho avuto la visione di questi due mondi. Accanto alla sottile rete metallica che circonda il giardino del Meridien. Che separa il Dentro dal Fuori. Un mondo dall'altro.

Di qua dalla rete, dove ero io, l'atmosfera tipica di un hotel in Africa, per ricchi. Un giardino ben curato, pulito, giardinieri sempre in azione con tubi per l'acqua e rastrelli in mano. Bambini che giocano e adulti che ridono. Io che mi rilasso al sole, mi curo. Nuoto per riparare almeno un po' la mia scogliosi, che con queste migliaia di km in macchina sente una spinta galoppante.

Di là dalla rete, il fiume. Placido. Intenso. Vasto. Pacificante.

Ancestrale.

Uomini in piroga che con movimenti lenti portano l'imbarcazione avanti e indietro. Pescano. Chi con la rete a strascico, chi con la canna. A volte qualcuno con la lancia.

Mondi. Mondi infiniti.

Uno di fianco all'altro.

Guardo questo fiume, quelle piroghe, le piante sulla riva, e mi chiedo cosa ci trovo. Perché tutto questo è per me così se-ducente. Mi tira a sé, come se ci fosse l'azione di una forza venuta da lontano. Ancestrale anch'essa. E non riesco a identificarla. La sento e basta.

Sento che vorrei poter rimanere incollata per l'eternità a queste visioni, a questi luoghi, a queste emozioni. Il fiume è la vita. L'acqua. Il movimento senza fine. Che va, e poi ritorna. In una circolazione continua, dove nulla muore, ma tutto si trasforma e rigenera.

Quest'acqua che scorre per migliaia di chilometri, si getta nel lago Ciad, per poi evaporare, per  poi ricadere in scroscianti piogge, per far così rigonfiare il fiume, per tornare a scorrere copiosa, e rigettarsi nel lago Ciad...

Una vita infinita. Un infinito pulsare e vibrare.

Ecco. Probabilmente questo è ciò che mi tira-a-sé. Questo pulsare senza fine. Questa certezza continua che nulla scompare e muore, ma tutto si trasforma e rigenera, in nuova vita.

Dalle rive del meraviglioso Chari, un caro saluto a tutti. Silvia.

 

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