30 novembre 2004. N'Djamena

Incontro così tanta bella gente......

 

Sono stata in Italia, velocemente, per cose di lavoro. Alcuni giorni a Roma.Qualche giorno a casa. I denti da curare, la telecamera da aggiustare, gli amici da vedere, il mercatino di Santa Lucia che è già cominciato e mi regala le luci del Natale, i bambini delle scuole dove lavoravo che restano sbigottiti e increduli a rivedermi dopo tanto tempo (pelle nerissima e capelli corti, ci vuole un po' a capire che sono sempre io!), il freddo dell'inverno che è già iniziato,... Giusto il tempo per riprendere forse un po' del peso che sono riuscita a perdere in Africa. E poi si riparte. Poche ore di volo. Se poi non si dovesse passare per Parigi, sarebbe davvero "dietro l'angolo". E ora non c'è neppure un'ora di fuso orario. Quando qui sono le 8, là sono le 8. Nessuno stravolgimento. Torno in Africa con la sensazione di tornare a casa. Sto bene qui, tra questo caldo, questo sole, il verde, i cibi semplici, senza tanti zuccheri e grassi come in Italia. Ritrovo gli amici e i colleghi di qui. La voglia di continuare a conoscere ed esplorare questo paese.

Jim mi accompagna a visitare l'orfanatrofio di Betanie, di cui avevo sentito parlare. Diverse persone ci accolgono subito calorosamente: segno che sono abituati alle visite anche improvvise, e non le sentono invasive. Una signora francese, volontaria qui per due anni, ci fa da guida. Ci mostra le 4 casette in cui i bambini sono divisi per età: les poussins da 0 a 3 anni, les canards,  les gazelles, infine les giraffes, 6-7 anni. I bambini che hanno compiuto 7 anni vengono reintrodotti in famiglia, se hanno qualche parente o, se sono orfani, vengono dati a famiglie adottive. Ci spiega che il processo di adozione in Francia e Svizzera probabilmente è un po' meno contorto che in Italia.

Tutte le casette hanno la stessa struttura: cucina, camerette, bagno tipo scuole materne, spazio giochi. Nella casetta dei più piccoli, ci sono ora 14 bambini. Uno è un bimbo idrocefalo di un anno e mezzo. Tre bambini sono stati trovati abbandonati. Uno era abbandonato in un mercato. Uno lo hanno trovato in fin di vita, terribilmente sottonutrito, è ancora con l'aspetto scheletrico, ma mi dicono che è fuori pericolo. Ci sono diverse persone che si occupano di loro, sia donne ciadiane sia diverse ragazze europee che vengono qui per un periodo di volontariato, uno o due anni.

Ma è soprattutto sulle figure dei fondatori che cade il mio stupore, e la mia fascinazione. Vi ho già parlato di persone belle che ho incontrato lungo il percorso.  Soprattutto donne (...ma non l'ho fatto apposta!). Vi ho parlato di Maguì, il medico francese che da 24 anni vive a Bekamba, in una capanna senza luce né acqua. Vi ho parlato di Silvana la sociologa egiziana che vive a Mongo e in 3 anni ha montato oltre 30 biblioteche scolastiche facendo formazione di maestri e bibliotecari.

     

Ora incontro una coppia. Un coppia di missionari della Chiesa Evangelica, venuti qui ... 35 anni fa!  Trentacinque anni qui sono un'epoca storica intera. Vuol dire aver conosciuto il Ciad all'inizio dell'indipendenza. Vuol dire aver conosciuto le guerre e la dittatura che lo hanno travagliato. Ed erano evidentemente molto giovani, visto che Monique ora non è un dinosauro: ha 55 anni ed è una bella donna, con la figura magra, elegantemente semplice. Hanno avuto 4 figli, che sono ormai grandi, sposati e con bambini, e vivono in Francia. Monique e suo marito hanno fondato questi orfanatrofi, prima nel sud, a Koumra, poi a N'Djamena, dando una casa e un focolare a centinaia di bambini in difficoltà, mentre crescevano i loro.

Sono senza parole. Affascinata. Stordita. Dalla bellezza. Dalla capacità di fare scelte contro corrente. Contro la massificazione del nostro tempo, che vuole i più attaccati alla televisione a vedere idiozie. Mentre ognuno di noi avrebbe così tanto... Così tanto da dare, e tanto da prendere.....

E sono così felice di essere qui... che mi sento a casa. Nel "Posto-dove-voglio-stare".

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15 dicembre. Bekamba.

(Non ho avuto molto tempo per scrivere, e soprattutto sono fuori da ogni contatto telefonico per fare gli aggiornamenti al  mio sito web!). Ma le sorprese non finiscono mai. E la bellezza continua.

Torno a Bekamba, il posto che più pensavo mentre ero in Italia. Ripensavo alla capanna di Maguì, alla sua scelta "estrema", e avevo voglia di vederla.  Di essere-con-lei. Mentre ripercorro le centinaia di km che mi portano a sud, trovo un paesaggio molto più secco e polveroso, ma sempre stupendo. Le strade, in compenso, molto meno faticose.

Mi fermo a Bongor, dove purtroppo le suore  con cui lavoro (due polacche, una spagnola, una coreana) hanno avuto una tristissima perdita. Nella notte, la giovane suora coreana, che avevo fotografato felice mentre mi mostrava i suoi biscotti alla pasta di arachidi (foto che non è uscita perché ho avuto la telecamera in panne) è volata via. Si è coricata con un po' di malessere, e alla mattina la sua anima era altrove. (Non ho potuto non pensare a mio padre, che se ne andò allo stesso modo). Naturalmente sono stati giorni di sconvolgimento e confusione. I parenti dalla Corea sono venuti immediatamente. Il dolore è stato grande, per queste donne che vivevano in una piccola comunità, di piccole e semplici capanne, in un quartiere della città, unite come sorelle.

Il lavoro a Bongor è stato rimandato, e io sono tornata invece a far visita a padre Tonino Melis, di là dal fiume, in Camerun. Questa volta non è stato necessario rifare 3 ore di piroga a remi! Il fiume ormai si è abbassato parecchio, ed è possibile prendere il bac, volendo anche con la macchina. Cosa che ho fatto.

Come previsto, ho trovato Tonino con il prof. Ajello, docente di linguistica a Pisa, che da un mese finalizza le sue ricerche su un'altra lingua minoritaria della zona: il musey. Tonino invece è in partenza per l'Italia, ma nonostante le mille cose da fare, ha mantenuto la promessa: ha realizzato la traduzione del mio libretto di storia per bambini in lingua massa! Grande Tonino! Non osavo crederci. Ma questa è una cosa a cui tiene anche lui, per cui ha fatto il possibile.

Passo solo una notte nella sua Jougoumta, e  rivado verso il fiume. E' ormai  la stagione del cotone. I campi sono un immenso batuffolo. E' fantastico! Viene da chiedersi come faccia la natura ad avere una tale fantasia, da avere così tante cose meravigliose e incredibilmente diverse da offrire!!! La gente lavora sodo, come sempre in questa terra di contadini, e prepara le montagne di questa che è l'unica sua risorsa da esportazione. L'unica che le concede un guadagno monetario, in tutto l'anno. (E sappiamo che il prezzo... è deciso altrove, lontano da qui). Ed eccomi così a parlare coi contadini. Fermo la macchina. Mi avvicino, sorrido. E' strano vedere un bianco (anzi, una bianca) che si ferma per sorridere e andare verso. Mi sorridono. Chiedo se posso fotografarli. Sono ben felici! (In Camerun non sono così sospettosi come in Ciad! Perché? perché non hanno avuto le guerre dei ciadiani, ecco perché! Le guerre fanno danni infiniti. Anche se non li vedi, rimangono per anni, e corrodono i cuori). Anzi, mi dicono "anche a me!". Anche il ragazzo con le stampelle. Dico che cercherò di mandare le foto tramite Tonino. E subito, preoccupati: "Ma non si paga niente?". No, non si paga niente. Sono io che ringrazio.

E continuo la mia strada. Altre centinaia di chilometri, e sono nuovamente nel profondo sud. A Mundu finisce l'asfalto. Sono ancora diverse ore di pista. Doba, poi Kelo, altri 70 km al bivio per la Cottonchad, l'industria che compra il cotone dei contadini. Giriamo a destra. 12 km a Bekamba. 

Ritrovo gli animatori, i maestri. Le suore africane, dolcissime, giovani, in gamba. Una ciadiana e due burkinabé. Al loro centro per le donne, ho fatto richiesta di diverse cose da portare in Italia: alcune stoffe dipinte a mano (operazione lunghissima!) ma soprattutto sapone di karité, e pasta di karité  con citronella. Farò uno scatoloncino da portare a casa, a gennaio. Sto già organizzando una serata di solidarietà per le scuole di Bekamba (...chi vuole intendere in tenda... e gli altri non in roulotte, ma direttamente qui!). Si sono messe tutte al lavoro. 

Ritrovo Maguì, la vedo molto stanca. Mangiamo insieme. Sono così  felice di conoscerla! Che tipa! Che scelta "estrema" la sua.

Parte un altro corso per maestri. Questa volta lo tengo interamente io: 5-6 ore al giorno, tutte le mattine, 6 giorni di seguito. Che fatica! Ma bello. Sono 18 maestri delle scuole comunitarie, che per un anno non lavorano ma seguono i corsi del Centro di Formazione Pedagogica che p. Corti ha avviato, e dove io lo aiuto: con un po' di organizzazione generale, con il sostegno alla biblioteca, e ora con lo stage. E' molto faticoso soprattutto perché qui nessuno è abituato a metodologie attive. Far partecipare i corsisti è quindi una vera impresa, abituati invece a modalità direttive e passive. Li faccio scrivere molto, e raccolgo una serie di "temi" che mi diverto a correggere. Visto che amo scrivere, mi piace anche insegnare a farlo, per aiutare le persone ad esprimersi, con quella che credo sia forse la forma d'arte più economica, visto che non richiede pennelli, colori, o strumenti musicali, ma solo carta, penna e fantasia. Per loro è una scoperta. Anche questa è una cosa che non sono abituati a fare. Per me invece, è di un grande interesse vedere cosa producono, cosa dicono.

Finito il corso, vado alcuni giorni a Sarh, la città più meridionale del paese, un tempo la più attiva culturalmente. Oggi un po' dimenticata, nell'eterno conflitto tra nord e sud. E dopo tanti presidenti del sud, da 14 anni - dal '90- ce n'è uno settentrionale...

A Sarh, incontro una persona che conosco ormai "di fama". Molti mi hanno parlato di lui, ma quando sono venuta a ottobre non c'era. Fabrizio Colombo è un missionario comboniano più giovane di me (classe '67), venuto qui nel '96. In questi anni ha fatto una marea di cose. Innanzitutto: è un grande appassionato di musica, ed è musicista, compositore e cantante. E' lui l'autore della canzone "Mani" che tante volte si sente cantare dai cori giovanili delle nostre chiese, in Italia. Molto bella.

Quando è arrivato qui, esisteva già il SAVE, cioè l'insieme diocesano di mezzi di informazione tra cui una radio locale e una sezione di produzione video. Ma lui ha preso in mano il tutto, ha convinto i suoi superiori a cercare i mezzi per un investimento cospicuo, e così ha messo su un'impresa degna di "Saranno famosi". Ha costruito una serie di padiglioni molto carini, nei quali si ritrovano le varie arti della comunicazione: la Radio Lotiko, in uno. La sezione cinema, in un altro, che in questi anni ha prodotto una marea di documentari e fiction (con finalità educative), e quest'anno partecipa al Fespaco, il Festival del cinema africano di Ouagadougou. In un altro padiglione è l'internet point (unico posto a Sarh in cui usare la posta elettronica, perché la linea telefonica pubblica è scarsa, mentre il Save ha l'abbonamento via satellitare con il sistema messo in piedi dal Vaticano, che costa meno rispetto ad altri satellitari). Vi è poi il padiglione della grafica, con due disegnatori che realizzano immagini eccezionali riprendendo la vita quotidiana del "pays sara", il Ciad meridionale. Dulcis in fundo: la sala di registrazione! Inutile dire che è la migliore del paese, e gli artisti che vogliono incidere dischi in Ciad vengono fino da qui da N'Djamena.

Qui dentro avviene quello che è il lavoro peculiare di Fabrizio con i giovani non solo di Sarh. Adolescenti tutti autodidatti, che con scarsissimi mezzi imparano a suonare chitarre, tastiere, batterie, e lui sostiene il loro bisogno di espressione. Li aiuta a organizzarsi, li forma nella tecnica dell'arrangiamento e dell'incisione. Ha già lavorato con numerosi gruppi giovanili ciadiani, e questi hanno così imparato a comporre testi sia in francese sia nella loro lingua madre, e fanno concerti in giro, nelle feste,... Tutti i grandi artisti sono nati così! Ed è bellissimo vedere questi ragazzi felici mentre - in sala di registrazione - ascoltano i loro pezzi, criticano, ripetono, correggono... Vedete quante facce ha "la missione"!

Fabrizio è buffo. Ha un fare decisamente giovane. Scherza molto, è sempre di corsa, non si ferma un attimo. Ha una riunione con gli attori, ...deve vedere il gruppo elettrogeno, ...va in sala di registrazione, ...è chiamato a sistemare un computer in panne,... e nel frattempo cerca anche di parlare con me. Inutile dire che ci sono venute in mente duecento cose che potremmo fare insieme. A mettere insieme due menti vulcaniche... si tira fuori un bel big bang!

Mi ha regalato un suo cd, e me lo ascolto mentre scrivo, di ritorno a Bekamba. Penso che dà una grande carica, un'iniezione di positività travolgente. Bello.

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Mentre ero a Sarh, mi è capitata una cosa particolare, che vi voglio raccontare. Devo andare un po' a ritroso.

Notti fa, non so esattamente quando né dove fossi a dormire, ho fatto un sogno che mi ha colpito molto. Era molto intenso, molto reale, e tuttavia mi ha stupito perché sognavo una persona che conosco pochissimo, e un'altra che non conosco affatto. Si tratta di una collega cooperante, circa trentenne, conosciuta il mese scorso mentre ero ad un convegno a Roma, e che lavora in Senegal. Abbiamo condiviso la stessa camera per due notti, e quindi abbiamo chiacchierato del più e del meno. Poi io sono tornata a casa mia, lei a casa sua, e dopo siamo ripartite entrambe per l'Africa. Ho sognato quindi lei, che conosco appena, ma soprattutto ho sognato di sua madre, che non conosco affatto, di cui forse avevamo parlato, o forse no, neppure lo ricordo. In quel sogno, tra me e sua madre c'era un legame intenso, forte, e c'era anche una notevole sofferenza. La figura della figlia, rimaneva un po' in secondo piano, o comunque a lato.

Mi ha stupito molto come sogno, e quando mi sono svegliata me lo ricordavo perfettamente, e provavo ancora sofferenza. Mi chiedevo come mai potessi avere sognato di lei, e soprattutto di sua madre, di cui non so assolutamente nulla.

Ebbene, quando sono arrivata a Sarh e ho finalmente messo mano alla posta elettronica, che non aprivo da una ventina di giorni, ho trovato un messaggio di questa collega, tornata in Senegal, che mi salutava, mi chiedeva notizie, e soprattutto mi parlava ...di sua madre. Mi diceva di avere scaricato dal sito il mio scritto sulla Palestina (Il dolore e la vergogna) di cui pure non ricordo  se avevamo parlato a Roma, e che le era piaciuto. Mi diceva poi che anche sua madre lo aveva letto, e che lo aveva amato molto, al punto che voleva regalarlo per Natale a dei suoi amici, e mi chiedeva se era pubblicato e dove poteva trovarlo.

Coincidenza? Non credo.

Credo piuttosto che si tratti di uno di quei casi di trasmissione dei pensieri (e soprattutto dei sentimenti) che a noi accadono molto raramente, perché abbiamo perso queste funzioni che un tempo erano comuni, e che tra alcuni popoli resistono ancora, forse per poco ormai (si veda "E venne chiamata Due Cuori", sugli aborigeni australiani e la loro capacità di comunicare telepaticamente).

E' stato comunque molto affascinante. Anche perché ho capito il dolore di quel sogno. Suppongo che nel giorno in cui io la stavo sognando, quella madre mi stava pensando, e doveva avere immagazzinato il dolore che io trasmetto negli scritti palestinesi. Avendomi pensata con sofferenza, io l'ho sognata con sofferenza. Sarebbe bello se cose simili ci accadessero più spesso!

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All'uscita da Sarh, una visione stupenda: una carovana lunghissima di nomadi, con centinaia di vacche, provenienti certo da molto, molto lontano.  Uomini e donne con un'aria stanchissima. Si vedono spesso le carovane di vacche, soprattutto andare verso nord, perché gli allevatori le vanno a vendere in Nigeria, dove guadagnano di più. Ed è un vero problema quello del rapporto tra nomadi e sedentari, che genera non di rado conflitti anche fisici, con morti e feriti, e purtroppo negli ultimi anni sta aumentando, perché il nord è sempre più arido, e quindi in nomadi scendono sempre di più, e sempre più presto rispetto al ritmo delle stagioni, mettendo in crisi i raccolti. Qui nel sud ci sono dei "corridoi" di terra lasciata apposta per i nomadi, ma spesso questi debordano nelle aree coltivate, mangiando il lavoro di mesi dei contadini. Ci sono quindi poi delle commissioni incaricate di dirimere questi problemi in modo non cruento, cioè definendo accordi tra le parti in cui vengano pagati i danni agli uni e/o agli altri. Ma non sempre si arriva a degli accordi considerati equi (anche perché la corruzione impera), e quindi si va allo scontro.

Purtroppo non sono mai riuscita, ancora, a fotografare questi gruppi transumanti, perché mi dicono sempre che "loro" (ovvero "quelli del nord") sono alquanto sull'incazzoso, e non vogliono assolutamente essere fotografati. Così, non ci ho neppure provato, anche se ogni volta mi riprometto di farlo. Un po' ammetto che è anche per pigrizia, perché questi incontri avvengono sempre lungo la strada, all'improvviso, quando le ore di macchina sono tante. Ma prima o poi lo farò, perché queste vacche sono proprio belle, con delle corna enormi.

La carovana incontrata a Sarh però era diversa, mai vista prima, e dieci minuti dopo averla passata mi ero già pentita amaramente di essermi fatta ancora una volta condizionare dal timore generalizzato verso "questi arabi". Il fatto è che - oltre al condizionamento in negativo - sono rimasta semplicemente incantata dalla loro bellezza, e in pratica non ho davvero avuto il coraggio di scendere dalla macchina e cercare di parlare con loro. Li guardavo a bocca aperta! Le altre mandrie viste in questi mesi, erano solo di allevatori (uomini) che portavano le bestie, e le portano per centinaia, migliaia di km., a piedi o a cavallo. E' molto più raro, specie qui nel sud, vedere le famiglie intere, con armi e bagagli caricati sulle bestie, e i vecchi e i bambini. Questi non solo erano tutti insieme, con le loro case e gli utensili, ma erano di un'etnia che non conoscevo. Le vacche su cui sedevano le donne e alcuni bimbi piccoli, erano coperte dai teli che avevo visto solo nel museo di Abeché, rivestiti da migliaia di piccole conchiglie. E non avevano unicamente questi mantelli: un paio di vacche, come se trasportassero delle regine, avevano ricoperte di conchiglie anche le intere corna. Era una cosa fantastica. Un grande mantello, con due tubi di stoffa, infilati in queste corna lunghe, il tutto con migliaia di conchiglie cucite strette! Sembrava un corteo principesco. E le donne erano molto belle, con una grande anella in un orecchio, ed una più piccola in una narice. Avevano l'aria veramente distrutta, e soprattutto credo che non siano abituati a sentirsi dare il benvenuto da queste parti. Per cui... quando vedevano il mio sorriso convinto e la mia aria di apprezzamento (stavo quasi per applaudire!), ci mettevano un po' a capire e a rispondere con un altro sorriso. Ma poi arrivava! E mi veniva tanta voglia di conoscerli. Chissà se mai mi ricapiterà di vedere quella gente?! Come siamo stupidi quando non siamo capaci di "cogliere l'attimo fuggente!". 

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Sono di nuovo a Bekamba, dove abbiamo in programma un altro corso come il  precedente, ma questa volta rivolto ai maestri delle scuole comunitarie, durante le vacanze di Natale, per 4 giorni. 

E ho avuto un'altra sorpresa, un altro regalo. Ho chiesto alle suore africane (che mi fanno morire per quanto sono simpatiche! e sono troppo brave, ho davvero molto da imparare da loro) se conoscevano qualcuno che potesse farmi dei massaggi, perché come al solito porto in giro per il mondo il mio mal di schiena. Non pensavo proprio di trovare un'esperta massaggiatrice qui! E invece... mi hanno suggerito Dimanche (quella che ci aveva offerto il pranzo, a me e a Magui, la vedete con noi nelle stesse foto, a casa sua). 

E' semplicemente fantastica! Come avevo scritto, lei lavora come aiutante nel centro alimentare per i bambini malnutriti. Ha imparato quindi molte cose negli anni, e ha anche fatto corsi di fisioterapia, perché fa massaggi soprattutto a bambini con handicap (polio) e anche anziani con problemi muscolari. Così... mi fa rinascere!  Un'ora di massaggio al giorno, che serve anche a lei. Ha 4 figli, due mariti morti entrambi, più qualche nipote a carico, perché le famiglie africane sono così. Quando le ho dato i soldi del primo massaggio, mi ha ringraziata con un grande sospiro, commentando "Questo mi aiuta a fare la spesa domani!".

Ecco qua. Noi pensiamo a mettere i soldi in banca, per pagarci i viaggi, o la casa con il mutuo... E tanta gente invece vive - come si dice - "alla giornata".  Nel senso letterale del termine. Dimanche, pur lavorando tutto il giorno, tra dispensario e centro alimentare guadagna 40.000 f.cfa.  al mese. Circa 60 euro. Riesce a malapena a pagare l'iscrizione a scuola per i figli, e naturalmente devono tutti aiutarla a lavorare i campi, per poter mangiare.

Lei "mi adotta". Come sempre in Africa, i termini "figlio, fratello, sorella, madre" hanno un significato ben diverso che da noi. Non sono legati al sangue, ma al "prendersi cura", al vivere-con. E così Dimanche, mentre mi massaggia, mi dice "tu es ma fille maintenant!". Sei mia figlia adesso. Qui a Bekamba, mi occupo io di te.

Mi lascio adottare. Mi lascio trasportare. Completamente.

Mi sento come a galleggiare sulle acque di questi meravigliosi fiumi, trasportata da una corrente di bellezza.

Verso dove... non si sa. Non ha importanza. E' il percorso che conta, non la meta.

Buon Natale a tutti!  Silvia.                                                                        

 

Foto di questo periodo:     nomadi a sud    -    lavori al centro delle donne

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