N'Djamena. 12 ottobre 2004 ...Alla ricerca di don Tonino. Dopo alcuni giorni a Bekamba, con padre Corti siamo partiti per Sarh, la città più a sud del paese. Un tempo anche la più florida, sia economicamente che culturalmente. Oggi assai decaduta. Neanche una strada asfaltata. Sporcizia. Tanti negozi un tempo moderni ora distrutti. C'erano locali da divertimento, persino il cinema. La luce, che c'era 24 h. al giorno quando non l'aveva neppure N'Djamena, oggi c'è a singhiozzo. Sui perché... stendo un velo. I motivi del mal funzionamento delle cose, sono sempre gli stessi, sotto qualunque stella. Corruzione, litigi, conflitti politici, guerre, mafie, ... Inutile entrare nei particolari. Sia perché non li so, sia perché non ne ho voglia. E non mi interessano. Andiamo al bello. Sarh è comunque una bella città. Un clima umido, alberi meravigliosi. Ne ho fotografati tanti. Ancora non ho avuto il tempo per terminare la pagina del "giardino botanico", ma è in corso d'opera. Si affaccia anch'essa sullo Chari, che scende dal Centrafrica, e per raggiungerla si passano altri fiumi, suoi affluenti, tra l'altro attraversando il Parco Nazionale di Manda. Paesaggi semplicemente fantastici. Mi mandano in estasi. In effetti, sono tornata a N'Djamena davvero felice. Il viaggio è lunghissimo. Per andare da Bekamba a Sarh ci occorre quasi tutto il pomeriggio. La strada, man mano si scende a sud, è sempre peggio. Buche pazzesche, per cui si va pianissimo. ...Abbassiamo il rischio di incidenti! Arriviamo la sera. Dormo al centro d'accoglienza (sono centri diocesani, ce n'è uno in ogni centro importante, ottimi, sia per la pulizia che per il cibo, e poi si ha modo di incontrarvi gente interessante). Ci fermiamo un giorno sia per cose di lavoro, sia perché mi interessa visitare alcuni posti, tra cui il museo nazionale, che mi dicono essere meglio conservato di quello di N'Djamena. Noto che in entrambi i musei vi sono guide molto preparate, che amano il loro lavoro, e soffrono letteralmente per la carenza di mezzi, per l'impossibilità di migliorare la gestione dei beni culturali, di fare iniziative mirate e coinvolgenti. La mattina del secondo giorno, di buon'ora, ci rimettiamo in marcia. Dobbiamo riprendere la strada di casa. Il viaggio è lunghissimo! Tuttavia, contrariamente alle attese, facciamo relativamente presto. E' perché ormai le piogge sono quasi finite. La strada è asciutta, non dobbiamo fare soste impreviste. Arriviamo in giornata a Bongor, che è a 3 ore da N'Djamena. Il centro d'accoglienza è strapieno, per via di un incontro con il vescovo (diocesi di Pala, il vescovo è da 35 anni un canadese del Quebec). Così trovo asilo dai missionari saveriani, italiani, più uno spagnolo che ha lavorato in Sierra Leone, come me. La cosa mi torna estremamente utile perché nel frattempo, in questi giorni, ho sentito "il richiamo di don Tonino". Innanzitutto succede che, dovendo fare ore e ore di macchina, "si pensa molto". A questo si aggiunga che sto studiando moltissime cose di antropologia e storia locale. Poi ci sono le esigenze di lavoro, ...insomma: mi vengono sempre mille idee! Padre Tonino Melis, è appunto un saveriano. Della Sardegna. Vive in questa zona di mondo dall'inizio degli anni '80. Biologo, ha deciso poi di tuffarsi nello studio delle lingue locali e della linguistica. Si preso un dottorato all'Università di Tours. Ha fatto ricerche specifiche sui due gruppi della sua zona: masa (pron. massà) e marba. Ha raccolto una marea di testi tradizionali, tramandati oralmente da generazioni. La sua tesi di dottorato, sulla lingua masa, è stata pubblicata. Ora sta lavorando ad un dizionario francese-masa. Quando è stato scritto il progetto per cui io lavoro, era lui il referente per le scuole comunitarie di Bongor. Per cui ho sentito spesso il suo nome. Solo che adesso lui non è più qui, ma di là dal fiume Logone, cioè oltre il confine: in Camerun. Non so esattamente in che momento e per quale motivo, ma mentre ero in viaggio e pensavo al materiale didattico da produrre per le scuole (che vorrei tradurre il più possibile nelle lingue locali) ho pensato a lui. Al suo lavoro. All'amore che mette nelle cose che fa. E mi sono detta che "dovevo" incontrarlo. Avrei quindi fatto il possibile per approfittare del passaggio da Bongor, dato che lui si trova "di fronte", a 30 km. Basta passare il fiume! Dormendo dai padri saveriani, ho trovato diversi libri di antropologia interessanti, tra cui quello di Tonino Melis, che mi hanno regalato. Poi, la mattina presto, il contatto radio: alle 7 i saveriani delle varie zone si parlano per passare le informazioni e i bisogni. Tonino risponde subito. Deve proprio venire a Yagua, la città camerunese di fronte a Bongor, in giornata. Lui non mi conosce, non sa perché voglio vederlo. Ci diamo appuntamento. Normalmente per passare il fiume si prende una chiatta, che può trasportare anche le auto, per pochi minuti. Normalmente, significa NON durante la stagione delle piogge. Ora il fiume si è alzato moltissimo, e l'attracco della chiatta è irraggiungibile perché la terra è inondata. Si può attraversare quindi solo in piroga. Naturalmente senza motore. 16 km ad andare. 16 km a tornare. E così... mi sciroppo 1 ora e un quarto di fiume per andare a Yaqua, e 2 ore e un quarto per tornare ! Mai andata in piroga per risalire un fiume! Hai presente il gambero, due passi avanti e uno indietro? ecco, più o meno così. E che fatica, remare in salita! Però meraviglioso! sole cocente. E io... partita talmente emozionata da non aver pensato a nulla: acqua, cibo, niente! Mi strino sotto i raggi del sole, provando pena per il giovane pirogatore (che muscoli!) e meraviglia perché mi ritrovo in un paesaggio da mozzare il fiato. Solo noi e il fiume, uomini e donne che pescano, e aironi e garzette, e uccelli piccoli e grandi, rosso fuoco, o blu fosforescente, e pesci che guizzano, e ninfee, le coltivazioni della gente, il silenzio, e la brezza... Arrivo sulla sponda camerunese con un'ora di ritardo. Ma Tonino è abituato all'Africa. Mi aspetta, e non sa neppure perché. E io gli dico subito che "sono venuta fino qui solo per esprimerti tutta la mia stima. Fai un lavoro fantastico, complimenti". Lo vedo emozionato, intimidito. E' un uomo semplice, barba e capelli lunghi e arruffati. Pantaloni africani. Ci sediamo al baretto. Finalmente bevo. Restiamo a parlare meno di un'ora. Ma ci capiamo subito. I nostri lavori sono l'uno la faccia dell'altro. Io ho bisogno dei linguisti per tradurre nelle lingue locali. I linguisti hanno bisogno di chi fa il materiale didattico, per fare in modo che le lingue africane non muoiano. E mi dice: Finalmente! Speriamo di fare delle belle cose insieme. Ho portato il suo libro con me: voglio che me lo firmi! E ora me lo tengo caro. Ecco, un'altra tra le cose buone che fanno i missionari (rimando a una delle prime lettere che ho scritto, con una difesa del tutto laica sul loro lavoro, contro gli anticlericali ad oltranza). Si ha sempre l'immagine dei missionari come persone volte a passare il loro tempo a convertire le masse. Immagine ben retrograda! Non si pensa a tutto quell'immenso lavoro che da loro è stato fatto non solo nel sociale (educativo, sanitario, agricolo...), ma in ambito culturale. La stragrande maggioranza dei testi di linguistica, forse anche di antropologia, i dizionari e le raccolte etnografiche sulle lingue africane, in tutta l'Africa, da oltre un secolo, è stata fatta ad opera dei missionari, ben più che da antropologici e ricercatori laici. Per un motivo molto semplice: sono quelli che si fermano più a lungo in un posto. I ricercatori al massimo si fermano qualche anno, e fanno anche loro ottimi lavori ovviamente, ma non restano 30, 40 anni! E per le ricerche linguistiche, per le raccolte di proverbi, di racconti della tradizione, per cercare di conoscere i segreti di un gruppo etnico, volto spesso alla disparizione, occorre tanto, tanto tempo. Riprendo così la mia piroga. 3 ore e mezzo di viaggio per passare 45 minuti con Tonino Melis, ma sono davvero contenta della mia caparbietà! Il giorno dopo siamo in macchina per N'Djamena, e come al solito in queste ore di viaggio "penso". I piedi appoggiati al cruscotto. Un po' di musica africana. Il cervello se ne va lontano. Viaggia sempre lui! E penso a quanta bella gente sto incontrando "a questo giro". Penso a quanta gente sfigata avevo incontrato in giri precedenti, in Burundi in particolare. E penso che la differenza di fondo stia nel trovarsi a lavorare in progetti d'emergenza, o in progetti di sviluppo. Lavorare per l'emergenza, implica un tasso di adrenalina decisamente superiore alla media. E' come entrare in una sala di gioco d'azzardo. Per questo, come in un casinò, ci trovi la gente più assurda. Qui il tasso di adrenalina è nella norma. Si può lavorare sui tempi lunghi. Non si rischia la pelle ad ogni piè sospinto. Non c'è il coprifuoco. Non ci sono le riunioni settimanali con le Nazioni Unite per la sicurezza, per sapere dove correre più veloci in caso di attacco, per salire sul primo elicottero che ti porta via. Non c'è l'azzardo, in sostanza. Sembra assurdo lo so. Dal di fuori la gente vede spesso chi fa questo mestiere alla stregua di santi o martiri. Rien de plus confus! Tra i cooperanti (e anche tra i volontari) si trova davvero di tutto. Una cosa e il suo contrario. Ma per questo ero contenta di partire per un progetto di sviluppo, e non di emergenza. Per poter lavorare con un po' di calma. Perché il tasso di adrenalina mi va bene così com'è. Non amo il rischio più di tanto. Non amo neppure la velocità, figuriamoci! Sono felice di incontrare belle persone. Tra i miei colleghi, tra i missionari, tra la gente di qui, persone come Maguì (di cui ho parlato nella lettera precedente) come Tonino Melis, e anche come i docenti italiani con cui lui collabora (le sue ricerche, sono in parte finanziate dalle Università di Pisa e di Cagliari). Ora sono a N'Djamena, e tra pochi giorni ripartirò verso est. La strada è asciutta ora. A presto. Silvia ****** PS: aggiornamento di novembre. Clicca qui per vedere le foto del fiume, di p.Tonino a Jugumta, con il prof. Ajello. Inoltre, sempre nella zona di p. Tonino, le immagini dei campi di cotone .
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