Silvia Montevecchi
Scrivere di sé. Il piacere di raccontarsi.
Proposte
per una formazione all’autobiografia
Ramallah,
Agosto 2003
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PRIMA
PARTE. APPROCCIO AL METODO. I campi di applicazione. Raccontare di sé. Della propria vita, dei propri
ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli
amici e degli amori,… La letteratura è ricchissima di racconti
autobiografici, di personaggi famosi o no. Ma in generale, si tratta sempre di
una letteratura affascinante, perché davvero “ogni vita, è degna di un
romanzo”. Leggendo racconti di vita vera, scritti in prima persona, si
possono capire spesso molte più cose che non leggendo importanti saggi di
analisi storico-politica (che poi leggono solo gli addetti ai lavori, e non la
gente semplice, perché infinitamente barbosi!). Al di là della narrativa, che nell’ultimo
secolo ha visto in molti paesi una crescita fantastica di questo tipo di
scrittura, l’autobiografia è poi usata in molti ambiti di lavoro: nella
ricerca sociologica per esempio, in
quella antropologico culturale, e naturalmente – moltissimo - nella
psicoterapia. Negli ultimi anni, si diffonde sempre più il suo uso anche come
attività peculiare di un insegnamento che voglia essere profondamente attivo,
in cui gli studenti (bambini o adolescenti) non siano considerati solo
contenitori da riempire, ma esseri ricchi per tutto ciò che hanno da dire e da
raccontare, e quindi da aiutare ad esprimere le proprie storie, le proprie
esigenze, con tutte le paure che la loro giovane età si porta dietro, e quindi
aiutati a crescere, cercando la propria strada dentro di sé, e non seguendo
quella che magari l’ambiente vorrebbe imporre loro. L’autobiografia è inoltre usata in ambito
“curativo” anche se non propriamente clinico, per esempio in tutte le
situazioni in cui sono necessarie terapie di aiuto: le comunità di recupero per
i tossicodipendenti; i centri per persone con malattie croniche o handicap; i
gruppi di giovani con caratteristiche devianti, spesso dovute a condizioni
socio-familiari molto difficili; le comunità di anziani, che si sentono ormai
al fine della loro vita, e come tali inutili, e invece quando cominciano a
raccontarsi, scoprono una nuova ricchezza, e una nuova gioia. Oltre a tutti questi campi di applicazione,
bisogna poi considerare l’importanza culturale della raccolta delle storie di
vita, come patrimoni sociali. E anche questa si è diffusa sempre di più negli
ultimi anni in molti paesi. In Europa esistono ormai diversi Archivi
Nazionali delle Memorie. Sono simili a biblioteche, ma anziché libri pubblicati
e venduti, contengono storie personali, scritte e spedite da gente semplice, non
autori famosi o letterati. Spesso sono scritte in dialetto, o sono piene di
errori di grammatica. Ma anche questa è proprio la loro bellezza e
ricchezza. In Italia, il primo Archivio dei Diari è nato
nel 1987 ad opera di un giornalista che amava proprio raccogliere storie di
vita. Questo archivio[1],
oggi raccoglie circa 5000 testimonianze (sempre in crescita, perché ne arrivano
centinaia ogni anno), che costituiscono un patrimonio culturale e storico
importantissimo per un Paese. Vi sono centinaia di racconti della Guerra
Mondiale per esempio, di gente che l’ha vissuta e sofferta. Ma anche
tantissimi racconti di emigranti: italiani che facevano la fame e dovevano
andare a cercar lavoro, a metà del secolo scorso, in America, o in Australia. I
loro racconti sono incredibilmente emozionanti, e spesso ci dipingono mondi
ormai scomparsi. Vi sono poi tanti racconti di una vita contadina e di
tradizioni che in Italia non si trovano più. E poi storie di malattia. Di
viaggi. Di violenze familiari… Queste storie saranno una ricchezza incredibile
per gli “archeologi” di domani. Ma già oggi sono molti gli studenti che
scrivono tesi lavorando in questi archivi di memorie. Dopo gli archivi nazionali, via via si diffondono
sempre più anche gli archivi territoriali, che sono davvero piccoli gioielli
per la conservazione della cultura e dell’identità di una comunità locale. Come diceva il sociologo maliano Hampate Ba, “In
Africa, ogni anziano che muore, è una biblioteca che brucia”. E’
vero. Perdere la memoria di ciò che siamo, è come perdere un bel pezzo delle
nostre radici. Ed è molto triste pensare a quante culture nel
mondo siano scomparse negli ultimi decenni di vorticoso “sviluppo”, quante
stiano cambiando velocissimamente, specie nei paesi più poveri, e nulla è
stato fatto per conservare almeno il ricordo degli ultimi anziani che potevano
“illuminarci” su come era la vita prima che il modello di vita capitalistico
invadesse completamente tutto il pianeta. Al contempo, questi archivi dei paesi occidentali
si arricchiscono dei racconti di lavoratori immigrati da paesi più poveri, o in
guerra. E diventano così la testimonianza del mondo che cambia, di come cambia.
Gli immigrati si raccontano: raccontano i loro sogni, i distacchi, la fatica del
ritrovarsi in un paese nuovo, con tutti i problemi che comporta,… E anche
questo può diventare uno strumento in più di dialogo tra culture diverse. Dulcis in fundo: visto che
l’autobiografia vede un così ampio successo in tanti ambiti, non potevano
mancare le scuole. Ben intesi: non si tratta di scuole che “insegnano
come scrivere” la propria storia. Al contrario. Non esiste “uno stile” di
scrittura autobiografica. Non esiste un’autobiografia giusta o sbagliata (!).
Certo, c’è chi scrive meglio e chi scrive peggio, e questo può rendere la
lettura più o meno attraente ad un eventuale lettore. Ma il punto non è qui,
perché l’autobiografia serve innanzitutto a chi la scrive, non a chi la
legge. Può anche darsi, infatti, che non la legga nessuno. Molti anzi scrivono,
ma non vogliono assolutamente che qualcuno legga le loro storie (…quante
donne, in situazioni difficili, scrivono di nascosto dai loro mariti! quanti
giovani, di nascosto dai genitori!). Si tratta dunque di scuole “della
memoria”. Per imparare a ricordare. Per non aver paura di ricordare,
come spesso capita. E per narrare i ricordi, senza timori, timidezze, paure del
giudizio altrui. Scuole che offrono “esercizi”, stimoli, suggerimenti, per
fare i conti con il proprio passato, anche quando il bilancio può sembrare
negativo, e allora – ancora di più – può essere utile tuffarsi nei ricordi
nascosti, lontani, cancellati. E riscoprire fili di percorsi che sembrano
inesistenti, ma poi invece si ritrovano. E ci aiutano a continuare il cammino, sentendoci meglio con
noi stessi. Perché raccontarsi? Attraversando brevemente i campi in cui
l’autobiografia trova applicazione, abbiamo già identificato molti motivi che
rispondono alla domanda “perché raccontarsi, perché parlare di sé”. Ma
ora andiamo più in profondità, in particolare per l’ambito che qui più ci
interessa, che non è né quello clinico né quello della ricerca, bensì quello
educativo e formativo. A questo punto, ci starebbe bene un bel brainstorm.
Chiedere a chi sta leggendo “secondo te, a cosa serve narrare di sé?
Scrivere la propria storia?” e raccogliere le risposte su una grande lavagna.
Verrebbero fuori cose affascinanti, forse
già anche commoventi, perché quando si lavora sui ricordi, le corde delle
emozioni vibrano con estrema facilità. Si diventa presto ipersensibili. Vediamo alcune possibili risposte. -
Raccontare ciò che ci è accaduto o ci sta accadendo, metterlo sulla
carta, buttarlo fuori, è già di per se stesso un atto liberatorio,
catartico. Non è la soluzione di un problema, certo. Ma può essere almeno un
modo per “isolare un problema”. Vederlo fuori da sé, come vedere la propria
vita – o un pezzo di essa - in un film. Questo è uno dei motivi più profondi
(e per questo curativi) dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che aiuta
a stare bene, o meglio. -
Vuol dire dunque prendersi del tempo per sé, prendersi cura del
nostro io, in sintesi: volerci bene. -
Ritornare con la mente su sentimenti vissuti tempo addietro, ci fa
capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più. Per i quali
invece, sempre, esiste una spiegazione. -
Andare alla scoperta di pezzi lontani, dimenticati della propria storia,
significa conoscerci di più. Cercare di comprendere strutture che ci
sembravano senza forma, senza equilibrio, o senza coerenza. Dare risposte a
vecchie domande. Per questo, l’autobiografia è una forma di
auto-formazione permanente, per qualunque età. -
Scrivere la nostra storia, o periodi della nostra vita, o frammenti
sparsi di essa, di persone che abbiamo incontrato, di momenti vissuti, ci aiuta
a trovare fili che potevamo avere perso. A trovare spiegazioni fino a quel
momento rimaste nascoste. E’ una forma di autoanalisi, che aiuta – laddove
se ne senta il bisogno - a trovare
risposte personali, autentiche, a problemi personali, per i quali nessuno,
nessun altro può cercare soluzioni al nostro posto. -
Riuscire a porre fuori da noi quello che può essere un problema che ci
fa soffrire, può essere un modo per vederlo sotto luci diverse. A volte,
la scrittura è sufficiente per farci vedere le cose in maniera completamente
diversa. Con ironia, con meno pesantezza. Quasi con una nuova capacità
di prenderci in giro da soli, o almeno, di prenderci meno sul serio. -
Andare alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza.
Ci sono forse tanti ricordi belli che abbiamo dimenticato, tra le mille
traversie della vita. Gli esercizi della memoria, ci aiutano a ritirarli fuori,
e così… a sorridere di più. -
Ricordare per narrare quindi, è anche un modo per cercare la felicità.
Il fatto stesso di darci uno spazio di solitudine e silenzio, per dedicarci solo
a noi stessi, può essere già una fonte di felicità. -
Narrare e scrivere, quando i nostri scritti sono condivisi con altri,
significa offrire ad altri la possibilità di conoscerci così come noi
ci percepiamo. -
Significa quindi, per conseguenza, far circolare quella bellezza
che noi stessi abbiamo trovato nel rimembrare. -
Offrire ad altri delle ipotesi di soluzioni. Leggere di esperienze
avvenute, scritte in prima persona, è infatti una grande fonte di insegnamento,
per chi può trovarsi in situazioni analoghe (di malattia, di violenza, ecc). -
Raccontare le propri memorie, serve per lasciare ai posteri la
conoscenza delle radici. Di mondi che via via stanno scomparendo. Un
genitore (o un nonno!) che lascia ai figli e nipoti le memorie della propria
vita, da prima ancora che i bambini nascessero, lascia loro un patrimonio
meraviglioso di conoscenza, e di affetti. -
Narrare di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle
scelte ascoltando le nostre ispirazioni personali e profonde, superando la paura
del giudizio degli altri. -
Esercitare la memoria, comporta anche l’esercizio dell’ascolto.
L’ascolto di noi stessi. In tal modo, ci aiuta anche ad aumentare la nostra
capacità di ascolto anche degli altri, e delle loro storie. Dunque, crea
comunicazione. Onde di condivisione che poi girano nell’aria. Probabilmente, se
avessimo fatto un brainstoming tutti insieme, la lavagna sarebbe piena di una
lista ben più lunga. Ma penso che già tutte le ragioni che ho elencato qui
siano più che sufficienti per farci capire l’utilità di prendere il tempo
per sederci a scrivere di noi, in prima persona. Autobiografia
e giovani Spesso
si pensa che la scrittura delle proprie memorie sia un’attività esclusiva per
chi – data l’età – di memorie “ne ha tante!” Le autobiografie sono evidentemente dei racconti
trasversali a decine di anni di storia e avvenimenti internazionali. Così come
pure è un bellissimo libro autobiografico “7 anni in Tibet”, da cui il
famoso film con Brad Pitt. Anche in questo caso, la storia di un individuo ci
aiuta a capire avvenimenti lontani e dimenticati, come l’occupazione del Tibet
da parte della Cina. (Occupazione che dopo decine di anni, ancora oggi, non è
finita). …Ma questo non significa che solo ai nonni
spetti il diritto di raccontarsi! Al contrario, come si è detto all’inizio,
l’autobiografia viene sempre più utilizzata anche come attività scolastica,
nelle scuole di ogni grado, anche elementare. In particolare per i giovani ne è
indicato l’utilizzo (e lo stimolo da parte degli insegnanti, soprattutto
quelli delle materie letterarie). L’adolescenza è forse l’età più difficile
del percorso evolutivo dell’essere umano. E’ il periodo delle grandi scelte,
quindi delle grandi incertezze. La fase in cui il cucciolo d’uomo deve
staccarsi dal nucleo familiare per prendere la sua strada, fare il suo cammino.
Tutto questo molto difficilmente avviene con serenità, specie laddove i giovani
si trovino in contesti sociali difficili (per esempio i quartieri più poveri
delle grandi città, con un alto tasso di disoccupazione) o in famiglie
problematiche per i motivi più svariati: economici, culturali, o perché
abbiano vissuto forti lutti, ecc. Lavorare
quindi con i giovani attraverso l’autobiografia (a scuola o nei centri
ricreativi di quartiere) significa dare loro l’opportunità di esprimersi,
confrontarsi, quindi di operare quel viaggio all’interno di loro stessi, che
li aiuterà a porsi domande, fare analisi, cercare risposte, e infine, con
fatica, a trovare la risposta che ritengono più opportuna. E sarà la loro
risposta. Perché nessuno, sia insegnante, educatore, padre, madre, amico, può
imporre o anche solo pensare di conoscere meglio di noi la soluzione ad un
nostro problema, e tanto meno la strada che noi vogliamo scegliere per la nostra
vita. Il ruolo dell’educatore quindi (insegnante o genitore) dovrebbe sempre
essere quello della levatrice, che aiuta il ragazzo a “far nascere il
bambino che ha dentro di sé”: il suo pensiero, i suoi sogni, e persino le
strategie per perseguirli. Questo
è l’educatore che educa alla libertà. E che quindi non impone una strada, ma
fa sì che ogni persona segua la propria. Anche quando questo significa dolore,
distacco, o accettare di vedere che il giovane che si è aiutato a crescere non
corrisponde alle aspettative che si avevano nei suoi confronti. Quante volte un
genitore si ritrova che i suoi figli fanno scelte completamente diverse da
quelle che lui avrebbe voluto! Ma se si vuole la felicità vera di una persona,
bisogna aiutarla a seguire la sua strada, non quella che piace a noi! E tante
volte capita di sentire persone di 40-50 anni, che ancora si portano addosso il
rimpianto e l’amarezza per non avere fatto cose che avrebbero voluto fare, o
per essere state costrette dalla famiglia, in un determinato periodo, a fare
scelte diverse da quelle che avrebbero voluto. Magari iscriversi a una facoltà
anziché un’altra, quando questo comporta conseguenze per tutto il resto della
vita. Oppure aver dovuto rinunciare ad un viaggio, o una vacanza con gli amici,
ecc. Le pressioni familiari e sociali possono essere le più diverse, ma anche
le più lesive per il resto di una vita. Aiutare i giovani a guardarsi dentro, significa
quindi aiutarli a cercare, in un mondo in cui le strade possibili sono sempre più
numerose e disparate. Il racconto di sé e la pedagogia
partecipativa. Da tutto quanto detto a
proposito della scrittura di sé e del suo utilizzo anche in campo educativo,
appare conseguentemente quanto vicina sia questa tecnica a quella pedagogia
detta partecipativa che è di fondamentale importanza soprattutto nei
contesti in cui si voglia realizzare un’educazione profondamente democratica. L’approccio
partecipativo si è sviluppato soprattutto nei paesi più poveri, in processi di
aiuto allo sviluppo a partire dal basso, dalla popolazione: si tratti di
associazioni contadine di villaggio, o per l’emancipazione della donna, o per
la tutela dei bambini lavoratori nelle grandi metropoli dei paesi più poveri
del sud del mondo. Tale approccio parte da
un assunto di fondo: la risposta ai problemi di un individuo, di un gruppo, di
una comunità, non può essere portata da un’entità esterna. Deve essere
ricercata e trovata da chi vive la difficoltà. Solo chi vive il problema
direttamente, può trovarne le vie di uscita. Su questo, esiste una
vasta letteratura. In particolare io me ne sono interessata seguendo il lavoro
fatto in molte metropoli africane per la tutela dei bambini lavoratori[2],
proprio utilizzando il metodo della pedagogia partecipativa, e ho trovato
diversi punti di contatto tra questo approccio e la pratica “comunitaria”
della scrittura autobiografica che possiamo realizzare in Europa, laddove viene
utilizzata – per esempio – in un gruppo classe di una scuola superiore, che
rappresenta di fatto una piccola comunità. La scrittura di sé, che
come abbiamo visto implica un viaggio dentro se stessi e la ricerca di domande e
risposte, utilizzata come metodo per la formazione giovanile porta proprio il
gruppo ad auto-formarsi, sia come comunità che nei suoi singoli componenti. Cioè
a trovare delle soluzioni a partire da una analisi del profondo. Metodologie. Quando si parla di autobiografia, si fa certo
riferimento, in massima parte, alla narrazione. Questa però a sua volta può
avvenire con l’ausilio, o l’aggiunta, di diverse tecniche nonché
“strategie”. Dipende dalla creatività e dalle capacità del narratore.
Alcune autobiografie sono ricche di immagini fotografiche, altre di disegni, se
il narratore è anche un bravo disegnatore, e allora ama rappresentare col
tratto della matita i suoi ricordi, alcuni momenti vissuti, o anche dei simboli
di essi. Vi sono poi narrazioni in cui i disegni sono così importanti, che
diventano quasi dei fumetti. Fotografia e disegno vi si alternano in maniera
tale che togliendoli, il racconto non sarebbe più leggibile. Vi è poi anche
chi ama inserire veri e propri oggetti nel racconto dei propri ricordi: un
biglietto, un fiore conservato tra i libri magari per decenni, un ciuffo di
capelli, una lettera, un documento,… Come si è detto all’inizio, la
scrittura di sé è una cosa talmente personale, privata, che non vi sono metodi
giusti e metodi sbagliati. Ognuno ha il sacrosanto diritto di raccontarsi e di
conservare come crede le proprie memorie! Questo vale anche per lo stile narrativo. C’è
chi scrive in maniera molto didascalica, …quasi come scrivesse un libro di
ricette. Chi è più passionale, o più cerebrale. Chi riesce di più a fare
ironia e letteralmente a ridere di quanto scrive (anche quando parla di
tragedie!). Esiste certamente uno stile femminile
ed uno maschile, che appaiono in maniera evidente sin dalle prime battute. E,
generalmente, sempre dallo stile si può distinguere anche l’età dello
scrittore, a grandi linee. Molta libertà è data anche ai contenuti, o ai
periodi trattati, in una biografia personale. Quella più classica, è quella
che segue l’ordine cronologico degli eventi che l’autore ricorda. Ma vi sono
racconti molto belli, o simpatici, di periodi particolari. Ricordo di un’amica
che ha raccontato la sua vita attraverso “le donne per lei importanti”
(madre, figlie, nuore, amiche). E un altro che aveva descritto i suoi ultimi 15
anni di vita solo attraverso i ricordi delle estati, dei periodi di vacanze:
dove era stato, chi aveva incontrato, cosa aveva fatto e provato. Un racconto può
fissare un periodo particolare dell’infanzia, o della giovinezza, della
paternità, di un periodo di malattia… Dunque, biografie verticali e
orizzontali, lunghe o corte. Si può decidere si scrivere la propria storia non
necessariamente dalla nascita, ma da un evento che ha costituito un “punto di
partenza” per qualcosa di nuovo: l’anno del matrimonio,o
in cui si è cambiato lavoro, o quello della laurea, o di un viaggio…
Ci sono anche biografie che l’autore fa partire da prima della propria
nascita, immaginando i propri genitori prima del suo arrivo, quindi il suo
muoversi dentro l’utero materno, e poi il balzo fuori (gioioso? traumatico?
doloroso?…) . Ci sono poi autobiografie scritte in forma di
lettera, come fingendo di scrivere a qualcuno (esistente o no).
Ci sono quelle scritte in prima persona, ma anche quelle in cui si gioca
la finzione, e si scrive la propria storia in terza persona, come parlando di un
altro, quindi marcando ancora di più la distanza tra sé, e il “film” della
propria vita. E vi sono poi storie scritte in forma totalmente simbolica, anche
utilizzando il ricorso alla dimensione magica e alla fiaba. Sono le storie più
puramente “curative”. Quelle nelle quali l’autore cerca uno stratagemma,
una soluzione che appaghi il proprio bisogno di uscire dalla situazione
di dolore. La fiaba entra nell’autobiografia nella misura
in cui l’autore non riesce a dire (o ha paura a dire) qualcosa che tuttavia lo
turba. Allora fa ricorso al simbolico e all’irreale, sia per descrivere, sia
per trovare soluzioni. In queste situazioni, è facile (per l’educatore, o per
un insegnante) il rischio di
scivolare dalla dimensione educativa a quella propriamente clinica, che qui
invece non ci compete. Ma analizzare il simbolico in chiave educativa, è
comunque importante per ciò che si diceva sopra: aiutare il giovane (o adulto
che sia) a capire cosa vuole dire con quella immagine, perché gli è venuta in
mente quella e non un'altra, e quali sono le vie di uscita che quel simbolo, o
quell’evento magico che ha inserito nella storia, lascia intravedere.
Dall’autobiografia al diario Chi si avvicina alla scrittura di sé, spesso
trova l’esperienza talmente affascinante, dispensatrice di piacere e di
conoscenza, che poi …non riesce più a farne a meno! Scrivere i propri
sentimenti, le cose che accadono, le emozioni, gli incontri, diventa allora una
sorta di bisogno continuo, per concentrarsi, per riflettere, meditare su stessi
e sul mondo. A volte, c’è chi la propria autobiografia non la finisce mai,
perché continuamente ci rimette mano, la corregge e ricorregge, in un gioco
infinito di ri-ricordare, ri-scoprire, togliere, aggiungere, precisare,
colorare,… Il passaggio tra la biografia e il diario, è così un percorso
frequente, nonché augurabile. La “collezione” della propria vita, è una
buona cura. Un quaderno, un notes grande o piccolo, un insieme di fogli bianchi.
Appunti, disegni, schizzi, immagini… Anche qui, ognuno ha il suo stile. Ma
questa raccolta, più o meno disordinata, servirà certo – un giorno – a
capire meglio il percorso della nostra vita, tanti come e perché di cui abbiamo
perso memoria, scelte fatte in epoche lontane. Oggi si usa sempre di più anche
il mezzo elettronico per scrivere diari. E naturalmente, anche questo diventa
oggetto di studi e ricerche,
e c’è chi vi fa le tesi di laurea. “Come i giovani comunicano se stessi,
attraverso il web”.Oppure: “L’ausilio elettronico e la tecnica
autobiografica”. Ma il diario, che tra gli adolescenti è sempre
stato più diffuso, è un’ottima cura anche per gli adulti, per continuare a
fermarsi e ad ascoltarsi, tra le tante corse del nostro quotidiano. Per non
avere l’impressione di procedere come zombi, in balia degli eventi. Dalla scrittura di sé alla raccolta di storie. Anche questo, un altro dei passaggi frequenti
nonché auspicabili. Dall’ascoltare e narrare se stessi, all’ascoltare e
narrare gli altri. Scoprire la bellezza che si racchiude tante volte nelle
persone più semplici, che nessuno ascolta. Aiutare gli altri a scrivere la
propria storia, oppure aiutarli ad esprimerla, in lunghi colloqui in cui si
ascolta, in quasi totale silenzio e, naturalmente, in assoluta assenza di
giudizio. Offrire il nostro tempo! Questa, una delle attività così rare
oggi! Quanta gente è disposta ad ascoltare? Ogni volta che raccolgo una storia (lo faccio sempre col
registratore, per riprodurla il più fedelmente possibile) si finisce sempre con
un sorriso, e con un reciproco GRAZIE! Chi ha potuto raccontare, si è sentito
importante, coccolato, riscaldato, almeno per un po’. Si crea comunicazione,
in un rapporto che – ancora una volta- è estremamente auto-formativo. Con questo scambio, entrambi i protagonisti
- l’ascoltatore e l’ascoltato – crescono in conoscenza, in saperi
di vita. Insomma, crescono in saggezza. Del resto, la mancanza di ascolto è uno
dei mali del nostro tempo. E conosciamo i risultati. (Solitudine, depressione,
amarezza…). Come si suol dire, il
tempo è un bene prezioso. Dare il nostro tempo per ascoltare una persona, un
anziano o meno che sia, significa dargli qualcosa di prezioso, e lui lo sa. Anche per questo, la raccolta di storie, in
quanto dialogo e scambio, a scuola, o in qualunque altro contesto, serve a creare
e a far circolare la bellezza. Educare i giovani ad esprimere la propria storia,
significa anche educarli ad ascoltare gli altri. A cercare le spiegazioni tra le
righe, al di là delle apparenze. A
mettersi nei panni dell’altro. Ad essere più tolleranti, più relativisti. Più
saggi. L’autobiografia nel contesto palestinese Una
delle caratteristiche che marcano fondamentalmente da differenza tra società
vagamente dette occidentali e “le altre”, è la percentuale di importanza
data al singolo individuo, o alla comunità. Le società tradizionali (contadine, tribali,
ecc) erano società comunitarie, in cui l’individuo come persona singola
spesso, quasi, scompariva. In gran parte è ancora così in Africa e in Asia
(pensiamo al Giappone, alla Cina, dove prima di tutto viene il bene comune;
benché stia cambiando, anche lì). Le
società occidentali – in cui più si sono sviluppati il capitalismo e il
liberismo - pongono l’accento sull’individuo in quanto singolo. Talvolta
fino all’esasperazione, lo sappiamo. Le società arabe, in quanto
tradizionalmente claniche, ovviamente appartengono al primo tipo, e in senso
molto forte, in quanto il clan decide e gestisce spesso anche per il singolo,
financo ai matrimoni. Difficile fare scelte “personali” in contesti simili. Ne
deriva la quasi totale mancanza di “abitudine” a parlare di sé in quanto
individui singoli. Forse anche a
“pensarsi” come tali. Quando si parla del proprio io, si parla
dell’identità nazionale, della famiglia, delle sue storie, della causa
palestinese, in questo caso, e quant’altro. Difficilmente si dice “io”. Si
parla sempre del “noi” o di un generico “le persone, la gente qui…”.
Dunque, gli individui parlano poco di sé, soprattutto lo fanno poco davanti
agli altri, come se ci fosse un timore, un pudore. Un po’ la paura del
giudizio. Un po’ l’idea che forse in quanto persone singole si è poco
importanti, rispetto alla comunità e alla causa palestinese. Come mi faceva
notare proprio un palestinese, questa è anche una delle differenze tra arabi e
israeliani: questi ultimi, vengono educati molto di più a parlare di sé e a
parlare anche in pubblico. Ne deriva che sono molto più sicuri nel farlo, più
sicuri nel difendere le proprie idee e istanze. Mentre un palestinese ha sempre
qualche forma in più di timidezza, ancor più poi se è una donna. Insegnare
quindi ai giovani a guardarsi maggiormente dentro in quanto persone, oltre che
in quanto palestinesi, guardare cioè maggiormente all’identità individuale
oltre che a quella sociale e collettiva, può essere uno stimolo importante per
loro, per ritrovare una loro tipologia autentica, e decidere della loro vita,
imparando ad esprimersi con maggiore sicurezza.
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SECONDA PARTE. Scriviamo
il romanzo della nostra vita. 20 giochi per imparare
a ricordare* Quelli che vengono qui
suggeriti sono dei veri e propri esercizi / giochi, studiati per accrescere
l’attività del rimembrare.
Disseppellire immagini anche lontane della propria vita, per riempire un disegno
che si realizza via via, nel farsi del gioco. Ognuna di queste
proposte può essere svolta in assoluta libertà, senza limiti di tempo. Si
possono fare da soli o in compagnia, reciprocamente, per conoscersi più in
profondità, tra amici o anche in famiglia. Si adattano ad età diverse. Ad
ognuna, il lettore-scrittore darà il significato che lui sente più pertinente
(o più divertente!): un contenuto concreto e storico, ma anche simbolico o
favolistico. Ogni esercizio,
rappresenterà un pezzo della propria vita, o un certo modo di guardare ad essa.
Molti tra questi
comportano una parte scritta: potete scrivere su fogli sparsi, su pezzetti di
carta piccoli e strappati… Se li fate tutti su uno stesso grande quaderno,
alla fine vi troverete automaticamente in mano… “il libro della vostra
vita”. Oppure, vi avranno
aiutato a ricordare fatti, persone, momenti, sentimenti,… E comincerete allora
a scrivere realmente la vostra autobiografia, “dalla A alla Z”. In ogni caso, potete
sempre e comunque inserire tutto ciò che la vostra fantasia vi suggerisce:
fotografie, disegni, cartoline, biglietti,… Se invece usate questi
suggerimenti per degli scambi reciproci, a voce, tra amici o in famiglia, è
bene ricordare che non devono tramutarsi in “chiacchierate” in cui “ognuno
dice la sua”! L’ascoltatore deve rimanere in quasi totale silenzio,
soprattutto deve assolutamente astenersi da qualunque commento che possa
rappresentare un giudizio (negativo o positivo che sia) per la persona che parla
di sé. E bisogna fare in modo che questa si senta ascoltata e rispettata, mai
in alcun modo giudicata per ciò che racconta, che pensa e che sente. 1.
La prima volta che… Questo
esercizio – come la maggior parte di quelli proposti – sarebbe da fare dando
risposte rapide, istintive, senza “scervellarsi” troppo. Può essere fatto
da soli, per iscritto, o in gruppo, ascoltando ciascuno le risposte degli altri.
Si può scrivere ciò che si vuole, si può saltare una parte. La
prima volta che…
2.
Le memorie del corpo. Anche qui, cercare
sempre di dare risposte immediate, senza “selezionare” i ricordi.
3.
La costruzione della mente Ricordo quando…
4.
Il gioco dell’oca (schema a parte, solo
versione in arabo) 5.
Oggetti Cose che sono pezzi
tangibili della mia vita, del mio passato o presente, insomma: di me. Forse un ricordo di
famiglia, o un giocattolo di quando ero piccola/piccolo, una fotografia, un
vestito. O un oggetto dal quale non potrei mai separarmi. A quale evento è
legato? Chi mi ricorda? Quali sono, e perché, le sue caratteristiche per me più
importanti? 6.
Parole Una frase che mi è
rimasta nella mente, che immediatamente mi ricorda qualcuno, un affetto, o una
situazione negativa, forse paura, o dolcezza. Era una filastrocca, una canzone,
un proverbio… Chi la diceva, quando? Cosa provavo?
E cosa provo adesso nel ricordare? (…risento quasi la presenza…) 7.
L’evocazione degli stati d’animo Questo esercizio può
richiedere molto tempo. Va fatto in due successioni distinte: la prima veloce,
la seconda… può non avere mai fine! Innanzitutto si
leggono le parole che seguono scorrendole rapidamente, e mettendo un segno
accanto a quelle che ci ricordano uno stato d’animo che abbiamo provato. Successivamente,
andiamo a ripescare le parole che abbiamo contrassegnato, e su ciascuna di essa
possiamo costruire un racconto: corto, cortissimo. Lungo, lunghissimo… 8.
Regali Ognuno
di noi ha avuto tanti maestri lungo il percorso della propria vita. Persone che
ci hanno dato delle cose importanti, forse senza neanche saperlo, e forse senza
che lo sapessimo neppure noi. Però se ci fermiamo a ricordare certi
“regali”, scopriamo che ci vengono alla mente volti inaspettati. Anche in questo caso,
è meglio una risposta veloce, scrivendo accanto il nome che ci viene alla
mente. Attenzione: può essere anche che un certo regalo ci sia venuto da noi
stessi! Quindi metteremo “io”. Molte cose infatti… ce le siamo costruite
da soli, con fatica!
Naturalmente,
dopo aver fatto questa lista, chi vuole potrà scrivere un racconto specifico su
ciascun “chi mi ha dato cosa”. La situazione, l’epoca, i dettagli della
persona, le emozioni provate allora, o adesso, se è qualcuno che si frequenta
ancora. Questo esercizio,
talvolta porta al desiderio di comunicare con una o più delle persone
ricordate. Potrebbe essere l’occasione per mandare una lettera… (Forse per
trovare il coraggio di dire ciò che da tempo si vorrebbe dire; un grazie, un
dialogo ritrovato, un sorriso).
9.
I MOMENTI TOP Nella nostra vita
attraversiamo periodi di grandi felicità e gratificazioni, e periodi di
profondi abissi. Momenti in cui ci sentiamo nel fondo di un pozzo senza luce né
possibilità di uscita. Racconta/scrivi quello
o quelli che ricordi come i tuoi momenti o periodi “top”: la situazione, i
luoghi, le persone, come ti sentivi e perché. Possono essere momenti di
successo o di sconfitta. Se ti sei
sentita/sentito “uscire dal fondo del pozzo”, racconta anche come hai fatto
ad uscirne, quali strategie hai adottato. Può trattarsi di un
periodo lungo o anche solo di un giorno. Lontano nel passato, o anche avvenuto
pochi giorni prima. 10.
LA FASCINAZIONE Ci sono cose, persone,
luoghi, che hanno stimolato in noi, in certi momenti, dei sentimenti di INCANTAMENTO.
Forse di grande meraviglia. Comunque di fascino. Un fascino che a volte
genera un profondo amore, per quei luoghi, quelle situazioni, ecc. Racconta quando ti è
capitato. Forse durante un viaggio, o davanti un’opera d’arte, o un
paesaggio, al cinema, ascoltando una certa musica, parlando con qualcuno,
leggendo un libro… 11.
PASSAGGI E CAMBIAMENTI La
nostra vita è fatta di continui cambiamenti, ponti simbolici che ci fanno
passare da una sponda a un’altra, da un modo di essere a un altro. A volte
sono passaggi lenti e graduali, come quelli di una relazione che finisce; a
volte sono repentini, come quando si trasloca e ci si trasferisce in un’altra
città, cambiando casa, lavoro e tutta la nostra vita, nel quotidiano. Ci sono i
passaggi rituali e istituzionali (una nuova scuola, il diploma, la laurea, il
matrimonio…). Ci sono i grandi lutti (un divorzio, la perdita di una persona
amata, un periodo di malattia…). Cambiamenti casuali, e cambiamenti cercati,
come quando si decide di cambiare lavoro, o almeno il datore di lavoro. Ci sono poi quelli
piccoli ma significativi: l’acquisto di una nuova macchina, o di un oggetto a
cui si pensava da tempo. Piccole cose che però ci fanno sentire persone diverse
rispetto a prima. Ci sono i cambiamenti
emotivi e affettivi profondi, dati dall’aver fatto un viaggio, o incontrato
persone che ci hanno fatto conoscere mondi nuovi. A volte certi passaggi
avvengono anche solo dalla lettura di un libro, che ci provoca certi “clic”
interiori, e ci apre nuove prospettive con cui guardare il mondo. L’elenco degli
esempi potrebbe continuare, ma non è necessario. Scrivi tu ora, sul
quaderno-libro-romanzo della tua vita, i cambiamenti più importanti che ricordi
di aver vissuto. Come, quando sono avvenuti, perché. Cosa eri prima, e come hai
sentito di essere dopo. 12.
I MIEI “MOMENTI STORICI” Prova
a pensare, e a scrivere, quali sono i momenti “clou” che ricordi nella tua
vita, mettendoli in ordine cronologico, scegliendone possibilmente solo uno per
anno, cominciando dal ricordo più lontano che hai (generalmente intorno ai 3
anni). Puoi mettere ciò che
vuoi: una cosa che ti è successa, o che hai visto, una persona incontrata, un
fatto che ti ha colpito accaduto ad altri, un cambiamento vissuto con la tua
famiglia… Qualunque cosa, che tu senti sia stata determinante in quel periodo
preciso.
Di seguito fino
all’età che hai ora, sempre cercando gli elementi significativi di un anno, o
di un paio d’anni. 13.
DESTINI Non
tutto ciò che ci accade avviene per caso, o per nostra scelta volontaria. Vi
sono momenti in cui sembra stabilirsi una curiosa alleanza tra caso e volontà,
come se si fossero accordati per venirci incontro, a nostro vantaggio o
svantaggio. Vi sono poi i momenti
in cui, al contrario, per quanto noi possiamo esserci adoperati per fare o per
evitare una data cosa, alla fine non avviene o avviene ugualmente. In entrambi i casi,
abbiamo così la sensazione che ci fosse davvero un “disegno del destino”,
un percorso tracciato. Prova a raccontare se
ti sono capitati momenti simili, i particolari. La sensazione che hai provato e
che provi. Ciò che pensi, e quanto ritieni che nella tua vita abbiano giocato
il caso, la volontà, il destino. 14. L’ALBERO DI FAMIGLIA Disegna l’albero
genealogico della tua famiglia, includendo anche i nomi di persone scomparse, o
che non conosci perché vivono lontano. Se vuoi, metti anche
delle fotografie. Oppure inserisci i luoghi in cui le diverse persone vivono,
che possono essere villaggi, città o paesi diversi. A volte sentiamo come parte
della famiglia anche persone non consanguinee, che naturalmente scriveremo. Non sono esclusi
neppure gli animali ! A volte
accompagnano la nostra vita per molti anni, e quando ci lasciano provocano in
noi un lutto profondo. Anche in questo
esercizio, sentiamoci completamente liberi di inserire chi per noi è
importante. 15.
ARCIPELAGHI Il
nostro passato, nonché il nostro quotidiano, sono composti da tanti
“arcipelaghi” ciascuno a sua volta composto da tante isole, isolotti,
scogli, con luoghi riposanti e piacevoli, o insidiosi, o frustranti. In ognuno
di essi, spesso il nostro ruolo cambia completamente, giochiamo parti diverse Prova ad elencarli, a
descriverli, a raccontarne le caratteristiche, a dire come ti ritrovi in
ciascuno di essi, e come “navighi” tra un arcipelago e l’altro, tra
un’isola e l’altra. Esempi: arcipelago del
lavoro; arcipelago classe; arcipelago famiglia; gruppo di volontariato; gruppo
con cui faccio teatro; arcipelago amici delle vacanze; ecc… 16.
IL CERCHIO DEGLI AMICI Sul quaderno della tua
vita,
disegna un cerchio e scrivici dentro il nome di tutte quelle persone che fanno
parte o hai incontrato nel tuo
percorso di vita, che
ti sono assolutamente care, e vorresti non dimenticare mai. 17.
FASI Siamo
arrivati a quello che è il modo più classico e tradizionale di scrivere la
propria storia: l’ordine cronologico. Chi si cimenta con questa attività,
scrive davvero “Il Libro” della propria vita. Un libro con un numero
indefinito di pagine: 20, 100, 200… E che spesso, non finisce mai di essere
rivisto e corretto dall’autore, perché gli vengono in mente altri
particolari, pezzi da aggiungere o da togliere, prospettive diverse, quindi
diverse analisi. Puoi
seguire le fasi consuete, Infanzia-Giovinezza-Maturità-Anzianità, ma
all’interno di queste definisci delle sotto-fasi. Per esempio l’epoca della
scuola, i rapporti con i genitori e i nonni, da bambini, i giochi con i
compagni; la famiglia, le condizioni economiche e relazionali; le scuole
superiori o il lavoro, gli innamoramenti; fidanzamento e matrimonio, oppure
università, attesa e arrivo del primo figlio, viaggi … ecc. Cerca anche di dare
dei titoli ad ogni capitolo, che definiscano ciò che per te è importante,
qualcosa in cui ti riconosci, relativamente al periodo descritto. Può anche
essere una frase stessa all’interno del capitolo. Alla fine, sarà
necessario attribuire un titolo a tutta l’opera. Ricordo quello di un’amica:
“Una pianta di pere color ruggine”. Era il suo ricordo di un’immagine
dell’infanzia, che le è rimasta dentro sempre, perché quella pianta era
stata un po’ come un “LA” per la sua vita. Ricorda di sentirti
assolutamente libera/o nello stile che scegli. Tieni sempre ben presente che non
stai scrivendo un libro da pubblicare, o qualcosa da far leggere ad altri, che
giudicheranno il tuo lavoro. Stai scrivendo per te. Puoi scrivere ciò che vuoi,
come vuoi, facendo anche gli errori di grammatica che ti vengono: nessuno ti darà
il voto!!! Potrai scrivere in
prima persona o in terza, potrai fingerti lo “scrivano” di qualcun altro,
come se scrivessi la vita di un’altra persona. Puoi anche scrivere in forma di
lettera, come se ti rivolgessi a qualcuno, che esista o no. Puoi seguire
l’ordine cronologico ma anche andare “per salti”, cioè tornare indietro
di tanto in tanto. Puoi scrivere in maniera più didascalica, quasi
“documentaristica”, oppure utilizzando le metafore o anche pezzi di poesia.
Lo stile, è estremamente esplicativo della nostra personalità e del nostro
stato d’animo. Per questo, non ve ne è uno giusto e uno sbagliato, ma
ciascuno deve trovare il proprio, quello in cui si sente meglio. Quando il tuo libro
sarà ultimato, deciderai tu se e a chi farlo leggere. 18.
AUTORITRATTO E’ l’esercizio più
difficile tra tutti quelli proposti. Fino ad ora si è andati alla ricerca dei
ricordi, per metterli insieme. Ora, si tratta di dare una descrizione di
quell’insieme – cioè di te – che sia fedele ma breve, e rapida. Non si tratta
naturalmente di un “mettersi alla ricerca della verità”, che sappiamo non
esiste in quanto tale ma è sempre mutevole, e ognuno ha la sua. Però, in
non più di dieci minuti, prova di fare la tua descrizione, un
tuo profilo. Come ti vedi, le
qualità e/o i difetti che ti attribuisci, le cose che ti piace fare o che sogni
di fare, come pensi che sia stata la tua vita, fino a questo momento. 19.
LA METAFORA Prova a trovare una o
più metafore per descrivere la tua vita, o diverse fasi di essa, o il tuo stato
d’animo attuale. 20.
MESSAGGI IN BOTTIGLIA Sei in mezzo al mare.
Hai una bottiglia e un pezzo di carta per lasciare all’infinito un tuo saluto,
un commiato, una brevissima immagine che parli di te. Può essere una frase, una
poesia, un disegno, un pensiero vago o concreto, un inno. Ciò che conta, è che
rappresenti la tua essenza, e che lasci detto al mondo chi sei e chi eri. *** Nota:
* Questi esercizi sono
stati liberamente tratti e adattati dal libro di Duccio Demetrio “Il gioco
della vita”. Milano, 1997 |
TERZA
PARTE. L’AUTOBIOGRAFIA
NEL CONTESTO SCOLASTICO. SUGGERIMENTI
PER GLI EDUCATORI Come abbiamo detto già nella prima parte di
questo breve “manuale”, l’autobiografia si e’ diffusa molto, oltre che
come attività personale, sociologica, di ricerca, anche come attività
educativa, per giovani e per bambini. Diamo qui dunque qualche suggerimento per farne
uso in ambito scolastico. - Innanzitutto e’ bene ricordare che un insegnante che voglia adottarlo
come metodo di lavoro a scuola (cosi’ come un educatore per il tempo libero o
per situazioni difficili) dovrebbe prima di tutto farne uso lui stesso, in prima
persona. Quindi utilizzare prima su di se almeno una buona parte degli esercizi
sopra descritti. Questo e’ indispensabile per poterli poi utilizzare con altre
persone: bisogna “esserci passati”. Ciascuno puo’ scegliere il “taglio
da dare” alla propria scrittura. Puo’ essere personale, ma anche
professionale, nel senso di andare a “passare al setaccio” la propria storia
lavorativa (che insegnante sono? come
ero quando ho cominciato? quali erano le mie aspettative? I miei modelli? Cosa
ha funzionato e cosa no? Ecc...) -
La seconda regola (che non ci stanchera’ mai di ripetere) e’ che
quando si usa questa tecnica bisogna ricordare costantemente che l’ascoltatore
deve assolutamente ASTENERSI DAL GIUDIZIO.
Passare dal racconto di se’ al pettegolezzo e’ molto facile, se non
si entra in una logica che deve essere al tempo di distacco (nel senso di non
farsi coinvolgere in prima persona da cio’ che si ascolta e quindi non
giudicare) e di ascolto umano
totale. La persona che si apre (qualunque sia la sua eta’) deve sentirsi
ascoltato e con-diviso, ma non giudicato. Quindi non ha importanza che
l’ascoltatore sia d’accordo o no con quanto l’altro dice. Deve saper
contenere – eventualmente – il proprio senso di fastidio, o di disgusto, o
quant’altro possa sentire nel conteso del racconto. Questo a parole sembra
facile, ma da realizzare e’ molto difficile. Tanto piu’ nel contesto
educativo, quando si pensa che un essere piu’ giovane sia sempre
inevitabilmente l’individuo al quale noi adulti dobbiamo “insegnare a
vivere”. Per un insegnante puo’ essere molto difficile ascoltare i suoi
ragazzi o leggere i loro scritti senza entrare nel merito di giudizi personali
anche di ordine morale. Ma questo e’ un’esercizio molto importante anche per
lui, per accettare le differenze, e far in modo che ciascuno sia se stesso.
Attraverso gli scritti autobiografici, un isegnante deve saper aiutare i ragazzi
a trovare se stessi, non cio’ che lui preferisce per loro. Puo’ conoscere i
loro sogni. Puo’ aiutarli a scoprire i loro talenti, a superare le
difficolta’, a vedere il sole dietro le nubi. Ma non deve mai cercare di
tracciare una strada che non c’e’. -
Altra regola di fondo, non sempre rispettata ma fondamentale, e’ il
DIRITTO ALLA PRIVACY. Quando la scrittura di se’ viene usata in ambiti che
prevedono piu’ di due persone, occorre che per ogni attivita’ sia definito
il “contratto”. Ovvero: chi e cosa puo’ essere letto in pubblico e
divulgato, e cosa no. Nessuno deve essere forzato a far leggere le proprie cose
agli altri, e il ragazzo o la ragazza che scrive delle cose pensando che le
legga solo un certo insegnante, e’ bene che non venga tradito in questa sua
certezza. Alcuni dei giochi presentati sopra possono prevedere cose che una
persona si sente di non dire pubblicamente. Questo deve essere rispettato. Se
uno studente si apre con un docente, scrivendo cose che gli fa leggere, questo
ha modo di conoscere il mondo del ragazzo, i suoi problemi, i suoi sogni, le sue
paure, i suoi sensi di inferiorita’ rispetto agli altri, forse anche i
problemi famiiari, ecc. Il ragazzo o la ragazza, deve quindi sapere di avere
nell’insegnante un alleato, non un esaminatore.
Almeno non attraverso questa attivita’. Un conto sono i testi di studio, la
lingua, le materie scolastiche. Un conto e’ la scrittura di se’. Questa
stabilisce un rapporto, ed e’ bene che il contratto di questo rapporto sia
chiaro dall’inizio. -
Queste regole, non valgono solo per il rapporto insegnante-studente, ma
anche per i ragazzi tra di loro. Quando si parla in gruppo di cose personali,
gli stessi ragazzi devono imparare (e questa attività li aiuta a farlo) ad
ascoltare in silenzio, senza interrompere, senza giudicare, senza fare risatine
o ironizzare. Questo tipo di colloquio e’ quindi estremamente formativo per
imparare ad accettare gli altri per quello che sono, quindi accettare le
differenze (che poi e’ uno degli elementi di base per l’educazione alla
democrazia e alla pacifica convivenza), e mettersi anche nei panni degli
altri. Capire che ognuno ha reazioni diverse anche se in situazioni simili.
Che non esiste mai un solo modo di vedere le cose, e non esiste mai una sola
verità. Questo confronto aiuta ciascun partecipante a meditare, a considerare
punti di vista diversi, e diverse possibilità di scelta anche per se stessi.
Questa e’ la fase quindi più propriamente autoformativa per il
gruppo, perché ciò che i singoli vorranno ritenere alla fine, sarà
sorto dal loro lavoro di scambio e riflessione, non da insegnamenti dati
dall’esterno, come delle ricette pronte da seguire. Veniamo ora a considerazioni specifiche per i
diversi ambiti scolastici, cominciando dalla scuola elementare. Quando con i bambini si comincia a studiare la
storia e la geografia (a seconda dei paesi e dei diversi curricula)
generalmente si comincia dal mondo del bambino: il suo spazio, la sua
casa, la sua famiglia, ... per allargarsi via via all’ambiente circostante: le
strade intorno alla casa, il villaggio, i negozi, i mestieri, chi-fa-cosa, le
attività del mattino e della sera, ... e poi ci si allarga ancora: le altre
città, la mia regione, il mio paese, gli altri paesi... Dunque, si parte
spesso da quella che e’ una “biografia” personale. La storia del bambino,
attraverso disegni, temi, cartine geografiche disegnate da loro, ecc. Questo e’ un lavoro molto delicato, in cui
spesso i bambini trovano le loro prime difficoltà nel confrontarsi con i
coetanei, e l’insegnante trova difficolta’ a gestire le situazioni anche
solo minimante complicate o problematiche. A volte ho trovato insegnanti che per ovviare
queste difficolta’ hanno preferito tornare a vecchi metodi, e fare la storia
cominciando direttamente a parlare dell’uomo primitivo, a bambini che magari
non hanno ancora acquisito neanche le nozioni base di tempo e spazio. Oppure
trovi gli insegnanti che i conflitti e le sofferenze nei bambini li creano
realmente. Il caso tipico e’
quello di tanti bambini che non sanno bene come disegnare il componimento della
loro famiglia, perche’ un genitore non c’e’ piu’, o perche’ hanno
divorziato. Oppure, ancora piu’ difficili, i casi in cui i genitori separati
stanno insieme a persone diverse, magari hanno altri figli, e non si capisce
piu’ dove comincia e dove finisce la famiglia del bambino. Ci sono i casi delle madri sole, dei bambini che
il papa’ non lo hanno mai conosciuto. Ricordo di un bambino che disegno’
lui, la mamma, e il compagno della mamma, e la maestra ebbe la grande
delicatezza di dirgli “no, quello non lo devi mettere, non e’ il tuo papa’
vero”. (Complimenti!!!). Oppure il caso di una bambina di 10 anni, che
disegno’ lei, i genitori, suo fratello piccolo, nel giorno delle nozze di
mamma e papa’. E subito l’insegnante a dire “non va bene, quando si sono
sposati voi ancora non c’eravate”. In quel caso non ha solo mancato di
delicatezza, ma anche dato prova di ignoranza perche’ i fatti erano proprio
cosi: i due genitori stavano insieme da 20 anni, ma non si erano mai sposati, e
quando lo hanno fatto la bambina era presente e ha festeggiato con loro! Il fatto che parlare delle storie dei bambini sia
un compito difficile, non significa che per i maestri elementari sia “meglio
evitare”. Al contrario. I bambini hanno bisogno di esprimere le
condizioni in cui sono psicologicamente. E hanno bisogno (e diritto) di trovare
supporto, sostegno, negli adulti che hanno intorno. Compito degli insegnanti,
anche in questi casi, e’ prima di tutto portare rispetto e – ancora una
volta – non giudicare. Non giudicare mai. Puo’ essere una ferita terribile
per i bambini sentire anche solo un commento ironico, una considerazione critica.
E questa ferita rimane, e a quel punto il dialogo e’ chiuso. Il bambino sa che
non si puo’ fidare di quell’adulto. I disegni dei bambini sono le loro autobiografie.
Ci si deve rapportare allo stesso modo. Sono gli specchi della loro anima. Sono gli strumenti, per i maestri e le maestre,
per capire le difficolta’ dei loro bambini e quindi cercare le strade per
sostenerli. Ma bisogna parlare, non evitare gli argomenti. Se un
argomento viene evitato per paura, perche’ l’adulto non sa come affrontarlo,
questo significa che il bambino viene lasciato solo.
Bisogna cercare di capire le sofferenze che unbambbino ha dentro, e fare
in modo che riesca ad esprimerle: in questo modo, si sentira’ piu’ leggero,
sapra’ che ha almeno qualcuno con cui condividerle, e da cui avere sostegno. Per questo quindi, l’uso dell’autobiografia
ha visto negli ultimi anni varie sperimentazioni anche nella scuola elementare,
particolarmente nelle situazioni piu’ difficili: dove c’e’ un alto tasso
di immigrazione, quindi bambini di provenienza diversa, con difficolta’ di
adattamento. Bambini che hanno vissuto il trauma dello sradicamento: passare da
un paese a un altro, dove si parla un’altra lingua, dove la gente e’ diversa
da quella che si vedeva prima, tutti i giorni.
Oppure in situazioni sociali di emarginazione sociale per varie ragioni. La scrittura di se’, come abbiamo detto, aiuta
nell’analisi del problema, e nella ricerca delle soluzioni. Per quanto
riguarda le scuole medie e superiori possono
essere utilizzati tutti i giochi e gli esercizi visti sopra, adattandoli se
necessario alla singola situazione. In particolare
bisognera’ cercare gli argomenti tipici dell’eta’ e delle problematiche
adolescenziali: considerazioni sull’amicizia e rapporti con i coetanei,
aspettative rispetto agli studi e al futuro, concezioni dell’amore e
dell’altro sesso, concezioni della vita, dei valori sociali, come la
solidarieta’, i diritti umani, la fede religiosa, (sempre senza mai dare
niente per scontato! Ognuno deve avere la liberta’ di esprimenrsi, secondo il
proprio credo o l’ateismo), la tutela dell’ambiente, ecc. La scrittura autobiografica alle scuole superiori
puo’ rientrare nell’insegnamento delle materie letterarie, e proseguire
lungo piu’ anni. In questo modo gli studenti conserveranno i loro lavori, e
sara’ piacevole oltre che interessante vedere – alla fine della scuola –
sui loro quaderni/ diari / libri della loro vita,
il percorso che hanno fatto e come si presentano verso quello che hanno
davanti. |
Bibliografia
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Note
[1]
Il giornalista che lo ha fondato è Saverio Tutino, che è stato tra i
fondatori di uno dei principali quotidiani italiani, nel ’75, “La
Repubblica”. L’Archivio ha sede nel Comune di Pieve Santo Stefano, in
provincia di Arezzo. Quando arrivate in questo paesino tra bellissime
colline ricche di storia, potete vedere un grande cartello con scritto
“Pieve Santo Stefano. Città del diario”.
www.archiviodiari.it
qui si trovano anche link su altri archivi, in altre lingue.
[2]
SI veda in particolare il lavoro e le pubblicazioni dell’ong senegalese
Enda Tiers Monde, www.enda.sn
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© Silvia Montevecchi