Silvia Montevecchi

 

Scrivere di sé.  Il piacere di raccontarsi.

 

Proposte per una formazione all’autobiografia  

 

 

Ramallah, Agosto 2003

 

   

PRIMA PARTE.  APPROCCIO AL METODO.

I campi di applicazione.

Raccontare di sé. Della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici e degli amori,… La letteratura è ricchissima di racconti autobiografici, di personaggi famosi o no. Ma in generale, si tratta sempre di una letteratura affascinante, perché davvero “ogni vita, è degna di un romanzo”.  Leggendo racconti di vita vera, scritti in prima persona, si possono capire spesso molte più cose che non leggendo importanti saggi di analisi storico-politica (che poi leggono solo gli addetti ai lavori, e non la gente semplice, perché infinitamente barbosi!).

Al di là della narrativa, che nell’ultimo secolo ha visto in molti paesi una crescita fantastica di questo tipo di scrittura, l’autobiografia è poi usata in molti ambiti di lavoro: nella ricerca sociologica per esempio,  in quella antropologico culturale, e naturalmente – moltissimo - nella psicoterapia. Negli ultimi anni, si diffonde sempre più il suo uso anche come attività peculiare di un insegnamento che voglia essere profondamente attivo, in cui gli studenti (bambini o adolescenti) non siano considerati solo contenitori da riempire, ma esseri ricchi per tutto ciò che hanno da dire e da raccontare, e quindi da aiutare ad esprimere le proprie storie, le proprie esigenze, con tutte le paure che la loro giovane età si porta dietro, e quindi aiutati a crescere, cercando la propria strada dentro di sé, e non seguendo quella che magari l’ambiente vorrebbe imporre loro.

L’autobiografia è inoltre usata in ambito “curativo” anche se non propriamente clinico, per esempio in tutte le situazioni in cui sono necessarie terapie di aiuto: le comunità di recupero per i tossicodipendenti; i centri per persone con malattie croniche o handicap; i gruppi di giovani con caratteristiche devianti, spesso dovute a condizioni socio-familiari molto difficili; le comunità di anziani, che si sentono ormai al fine della loro vita, e come tali inutili, e invece quando cominciano a raccontarsi, scoprono una nuova ricchezza, e una nuova gioia.

Oltre a tutti questi campi di applicazione, bisogna poi considerare l’importanza culturale della raccolta delle storie di vita, come patrimoni sociali. E anche questa si è diffusa sempre di più negli ultimi anni in molti paesi.

In Europa esistono ormai diversi Archivi Nazionali delle Memorie. Sono simili a biblioteche, ma anziché libri pubblicati e venduti, contengono storie personali, scritte e spedite da gente semplice, non autori famosi o letterati. Spesso sono scritte in dialetto, o sono piene di errori di grammatica.

Ma anche questa è proprio la loro bellezza e ricchezza.

In Italia, il primo Archivio dei Diari è nato nel 1987 ad opera di un giornalista che amava proprio raccogliere storie di vita. Questo archivio[1], oggi raccoglie circa 5000 testimonianze (sempre in crescita, perché ne arrivano centinaia ogni anno), che costituiscono un patrimonio culturale e storico importantissimo per un Paese.

Vi sono centinaia di racconti della Guerra Mondiale per esempio, di gente che l’ha vissuta e sofferta. Ma anche tantissimi racconti di emigranti: italiani che facevano la fame e dovevano andare a cercar lavoro, a metà del secolo scorso, in America, o in Australia. I loro racconti sono incredibilmente emozionanti, e spesso ci dipingono mondi ormai scomparsi. Vi sono poi tanti racconti di una vita contadina e di tradizioni che in Italia non si trovano più. E poi storie di malattia. Di viaggi. Di violenze familiari… Queste storie saranno una ricchezza incredibile per gli “archeologi” di domani. Ma già oggi sono molti gli studenti che scrivono tesi lavorando in questi archivi di memorie.

Dopo gli archivi nazionali, via via si diffondono sempre più anche gli archivi territoriali, che sono davvero piccoli gioielli per la conservazione della cultura e dell’identità di una comunità locale.

Come diceva il sociologo maliano Hampate Ba, “In Africa, ogni anziano che muore, è una biblioteca che brucia”.  E’ vero. Perdere la memoria di ciò che siamo, è come perdere un bel pezzo delle nostre radici.

Ed è molto triste pensare a quante culture nel mondo siano scomparse negli ultimi decenni di vorticoso “sviluppo”, quante stiano cambiando velocissimamente, specie nei paesi più poveri, e nulla è stato fatto per conservare almeno il ricordo degli ultimi anziani che potevano “illuminarci” su come era la vita prima che il modello di vita capitalistico invadesse completamente tutto il pianeta.

Al contempo, questi archivi dei paesi occidentali si arricchiscono dei racconti di lavoratori immigrati da paesi più poveri, o in guerra. E diventano così la testimonianza del mondo che cambia, di come cambia. Gli immigrati si raccontano: raccontano i loro sogni, i distacchi, la fatica del ritrovarsi in un paese nuovo, con tutti i problemi che comporta,… E anche questo può diventare uno strumento in più di dialogo tra culture diverse.

Dulcis in fundo: visto che l’autobiografia vede un così ampio successo in tanti ambiti, non potevano mancare le scuole. Ben intesi: non si tratta di scuole che “insegnano come scrivere” la propria storia. Al contrario. Non esiste “uno stile” di scrittura autobiografica. Non esiste un’autobiografia giusta o sbagliata (!). Certo, c’è chi scrive meglio e chi scrive peggio, e questo può rendere la lettura più o meno attraente ad un eventuale lettore. Ma il punto non è qui, perché l’autobiografia serve innanzitutto a chi la scrive, non a chi la legge. Può anche darsi, infatti, che non la legga nessuno. Molti anzi scrivono, ma non vogliono assolutamente che qualcuno legga le loro storie (…quante donne, in situazioni difficili, scrivono di nascosto dai loro mariti! quanti giovani, di nascosto dai genitori!). Si tratta dunque di scuole “della memoria”. Per imparare a ricordare. Per non aver paura di ricordare, come spesso capita. E per narrare i ricordi, senza timori, timidezze, paure del giudizio altrui. Scuole che offrono “esercizi”, stimoli, suggerimenti, per fare i conti con il proprio passato, anche quando il bilancio può sembrare negativo, e allora – ancora di più – può essere utile tuffarsi nei ricordi nascosti, lontani, cancellati. E riscoprire fili di percorsi che sembrano inesistenti, ma poi invece si ritrovano.  E ci aiutano a continuare il cammino, sentendoci meglio con noi stessi.  

Perché raccontarsi?

Attraversando brevemente i campi in cui l’autobiografia trova applicazione, abbiamo già identificato molti motivi che rispondono alla domanda “perché raccontarsi, perché parlare di sé”. Ma ora andiamo più in profondità, in particolare per l’ambito che qui più ci interessa, che non è né quello clinico né quello della ricerca, bensì quello educativo e formativo.

A questo punto, ci starebbe bene un bel brainstorm. Chiedere a chi sta leggendo “secondo te, a cosa serve narrare di sé? Scrivere la propria storia?” e raccogliere le risposte su una grande lavagna. Verrebbero fuori cose affascinanti,  forse già anche commoventi, perché quando si lavora sui ricordi, le corde delle emozioni vibrano con estrema facilità. Si diventa presto ipersensibili.

Vediamo alcune possibili risposte.

-         Raccontare ciò che ci è accaduto o ci sta accadendo, metterlo sulla carta, buttarlo fuori, è già di per se stesso un atto liberatorio, catartico. Non è la soluzione di un problema, certo. Ma può essere almeno un modo per “isolare un problema”. Vederlo fuori da sé, come vedere la propria vita – o un pezzo di essa - in un film. Questo è uno dei motivi più profondi (e per questo curativi) dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che aiuta a stare bene, o meglio.

-         Vuol dire dunque prendersi del tempo per sé, prendersi cura del nostro io, in sintesi: volerci bene.

-         Ritornare con la mente su sentimenti vissuti tempo addietro, ci fa capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più. Per i quali invece, sempre, esiste una spiegazione.

-         Andare alla scoperta di pezzi lontani, dimenticati della propria storia, significa conoscerci di più. Cercare di comprendere strutture che ci sembravano senza forma, senza equilibrio, o senza coerenza. Dare risposte a vecchie domande. Per questo, l’autobiografia è una forma di auto-formazione permanente, per qualunque età.

-         Scrivere la nostra storia, o periodi della nostra vita, o frammenti sparsi di essa, di persone che abbiamo incontrato, di momenti vissuti, ci aiuta a trovare fili che potevamo avere perso. A trovare spiegazioni fino a quel momento rimaste nascoste. E’ una forma di autoanalisi, che aiuta – laddove se ne senta il bisogno -  a trovare risposte personali, autentiche, a problemi personali, per i quali nessuno, nessun altro può cercare soluzioni al nostro posto.

-         Riuscire a porre fuori da noi quello che può essere un problema che ci fa soffrire, può essere un modo per vederlo sotto luci diverse. A volte, la scrittura è sufficiente per farci vedere le cose in maniera completamente diversa. Con ironia, con meno pesantezza. Quasi con una nuova capacità di prenderci in giro da soli, o almeno, di prenderci meno sul serio.

-         Andare alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza. Ci sono forse tanti ricordi belli che abbiamo dimenticato, tra le mille traversie della vita. Gli esercizi della memoria, ci aiutano a ritirarli fuori, e così… a sorridere di più.

-         Ricordare per narrare quindi, è anche un modo per cercare la felicità. Il fatto stesso di darci uno spazio di solitudine e silenzio, per dedicarci solo a noi stessi, può essere già una fonte di felicità.

-         Narrare e scrivere, quando i nostri scritti sono condivisi con altri, significa offrire ad altri la possibilità di conoscerci così come noi ci percepiamo.

-         Significa quindi, per conseguenza, far circolare quella bellezza che noi stessi abbiamo trovato nel rimembrare.

-         Offrire ad altri delle ipotesi di soluzioni. Leggere di esperienze avvenute, scritte in prima persona, è infatti una grande fonte di insegnamento, per chi può trovarsi in situazioni analoghe (di malattia, di violenza, ecc).

-         Raccontare le propri memorie, serve per lasciare ai posteri la conoscenza delle radici. Di mondi che via via stanno scomparendo. Un genitore (o un nonno!) che lascia ai figli e nipoti le memorie della propria vita, da prima ancora che i bambini nascessero, lascia loro un patrimonio meraviglioso di conoscenza, e di affetti.

-         Narrare di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle scelte ascoltando le nostre ispirazioni personali e profonde, superando la paura del giudizio degli altri.

-         Esercitare la memoria, comporta anche l’esercizio dell’ascolto. L’ascolto di noi stessi. In tal modo, ci aiuta anche ad aumentare la nostra capacità di ascolto anche degli altri, e delle loro storie. Dunque, crea comunicazione. Onde di condivisione che poi girano nell’aria.

Probabilmente, se avessimo fatto un brainstoming tutti insieme, la lavagna sarebbe piena di una lista ben più lunga. Ma penso che già tutte le ragioni che ho elencato qui siano più che sufficienti per farci capire l’utilità di prendere il tempo per sederci a scrivere di noi, in prima persona.

Autobiografia e giovani

Spesso si pensa che la scrittura delle proprie memorie sia un’attività esclusiva per chi – data l’età – di memorie “ne ha tante!” Certo, chi ha vissuto tanto, magari facendo tante cose avventurose e interessanti, può scrivere libri che tanti ameranno leggere. Una delle più belle autobiografie pubblicate negli ultimi 10 anni è naturalmente quella di Nelson Mandela “Il lungo cammino verso la libertà”, di circa 600 pagine.

Le autobiografie sono evidentemente dei racconti trasversali a decine di anni di storia e avvenimenti internazionali. Così come pure è un bellissimo libro autobiografico “7 anni in Tibet”, da cui il famoso film con Brad Pitt. Anche in questo caso, la storia di un individuo ci aiuta a capire avvenimenti lontani e dimenticati, come l’occupazione del Tibet da parte della Cina. (Occupazione che dopo decine di anni, ancora oggi, non è finita).

…Ma questo non significa che solo ai nonni spetti il diritto di raccontarsi!

Al contrario, come si è detto all’inizio, l’autobiografia viene sempre più utilizzata anche come attività scolastica, nelle scuole di ogni grado, anche elementare. In particolare per i giovani ne è indicato l’utilizzo (e lo stimolo da parte degli insegnanti, soprattutto quelli delle materie letterarie).

L’adolescenza è forse l’età più difficile del percorso evolutivo dell’essere umano. E’ il periodo delle grandi scelte, quindi delle grandi incertezze. La fase in cui il cucciolo d’uomo deve staccarsi dal nucleo familiare per prendere la sua strada, fare il suo cammino. Tutto questo molto difficilmente avviene con serenità, specie laddove i giovani si trovino in contesti sociali difficili (per esempio i quartieri più poveri delle grandi città, con un alto tasso di disoccupazione) o in famiglie problematiche per i motivi più svariati: economici, culturali, o perché abbiano vissuto forti lutti, ecc.   Lavorare quindi con i giovani attraverso l’autobiografia (a scuola o nei centri ricreativi di quartiere) significa dare loro l’opportunità di esprimersi, confrontarsi, quindi di operare quel viaggio all’interno di loro stessi, che li aiuterà a porsi domande, fare analisi, cercare risposte, e infine, con fatica, a trovare la risposta che ritengono più opportuna. E sarà la loro risposta. Perché nessuno, sia insegnante, educatore, padre, madre, amico, può imporre o anche solo pensare di conoscere meglio di noi la soluzione ad un nostro problema, e tanto meno la strada che noi vogliamo scegliere per la nostra vita. Il ruolo dell’educatore quindi (insegnante o genitore) dovrebbe sempre essere quello della levatrice, che aiuta il ragazzo a “far nascere il bambino che ha dentro di sé”: il suo pensiero, i suoi sogni, e persino le strategie per perseguirli.  Questo è l’educatore che educa alla libertà. E che quindi non impone una strada, ma fa sì che ogni persona segua la propria. Anche quando questo significa dolore, distacco, o accettare di vedere che il giovane che si è aiutato a crescere non corrisponde alle aspettative che si avevano nei suoi confronti. Quante volte un genitore si ritrova che i suoi figli fanno scelte completamente diverse da quelle che lui avrebbe voluto! Ma se si vuole la felicità vera di una persona, bisogna aiutarla a seguire la sua strada, non quella che piace a noi! E tante volte capita di sentire persone di 40-50 anni, che ancora si portano addosso il rimpianto e l’amarezza per non avere fatto cose che avrebbero voluto fare, o per essere state costrette dalla famiglia, in un determinato periodo, a fare scelte diverse da quelle che avrebbero voluto. Magari iscriversi a una facoltà anziché un’altra, quando questo comporta conseguenze per tutto il resto della vita. Oppure aver dovuto rinunciare ad un viaggio, o una vacanza con gli amici, ecc. Le pressioni familiari e sociali possono essere le più diverse, ma anche le più lesive per il resto di una vita.

Aiutare i giovani a guardarsi dentro, significa quindi aiutarli a cercare, in un mondo in cui le strade possibili sono sempre più numerose e disparate.

Il racconto di sé e la pedagogia partecipativa.

Da tutto quanto detto a proposito della scrittura di sé e del suo utilizzo anche in campo educativo, appare conseguentemente quanto vicina sia questa tecnica a quella pedagogia detta partecipativa che è di fondamentale importanza soprattutto nei contesti in cui si voglia realizzare un’educazione profondamente democratica.

L’approccio partecipativo si è sviluppato soprattutto nei paesi più poveri, in processi di aiuto allo sviluppo a partire dal basso, dalla popolazione: si tratti di associazioni contadine di villaggio, o per l’emancipazione della donna, o per la tutela dei bambini lavoratori nelle grandi metropoli dei paesi più poveri del sud del mondo.

Tale approccio parte da un assunto di fondo: la risposta ai problemi di un individuo, di un gruppo, di una comunità, non può essere portata da un’entità esterna. Deve essere ricercata e trovata da chi vive la difficoltà. Solo chi vive il problema direttamente, può trovarne le vie di uscita.

Su questo, esiste una vasta letteratura. In particolare io me ne sono interessata seguendo il lavoro fatto in molte metropoli africane per la tutela dei bambini lavoratori[2], proprio utilizzando il metodo della pedagogia partecipativa, e ho trovato diversi punti di contatto tra questo approccio e la pratica “comunitaria” della scrittura autobiografica che possiamo realizzare in Europa, laddove viene utilizzata – per esempio – in un gruppo classe di una scuola superiore, che rappresenta di fatto una piccola comunità.

La scrittura di sé, che come abbiamo visto implica un viaggio dentro se stessi e la ricerca di domande e risposte, utilizzata come metodo per la formazione giovanile porta proprio il gruppo ad auto-formarsi, sia come comunità che nei suoi singoli componenti. Cioè a trovare delle soluzioni a partire da una analisi del profondo.

Metodologie.

Quando si parla di autobiografia, si fa certo riferimento, in massima parte, alla narrazione. Questa però a sua volta può avvenire con l’ausilio, o l’aggiunta, di diverse tecniche nonché “strategie”. Dipende dalla creatività e dalle capacità del narratore. Alcune autobiografie sono ricche di immagini fotografiche, altre di disegni, se il narratore è anche un bravo disegnatore, e allora ama rappresentare col tratto della matita i suoi ricordi, alcuni momenti vissuti, o anche dei simboli di essi. Vi sono poi narrazioni in cui i disegni sono così importanti, che diventano quasi dei fumetti. Fotografia e disegno vi si alternano in maniera tale che togliendoli, il racconto non sarebbe più leggibile. Vi è poi anche chi ama inserire veri e propri oggetti nel racconto dei propri ricordi: un biglietto, un fiore conservato tra i libri magari per decenni, un ciuffo di capelli, una lettera, un documento,… Come si è detto all’inizio, la scrittura di sé è una cosa talmente personale, privata, che non vi sono metodi giusti e metodi sbagliati. Ognuno ha il sacrosanto diritto di raccontarsi e di conservare come crede le proprie memorie!

Questo vale anche per lo stile narrativo. C’è chi scrive in maniera molto didascalica, …quasi come scrivesse un libro di ricette. Chi è più passionale, o più cerebrale. Chi riesce di più a fare ironia e letteralmente a ridere di quanto scrive (anche quando parla di tragedie!). Esiste certamente uno stile  femminile ed uno maschile, che appaiono in maniera evidente sin dalle prime battute. E, generalmente, sempre dallo stile si può distinguere anche l’età dello scrittore, a grandi linee.

Molta libertà è data anche ai contenuti, o ai periodi trattati, in una biografia personale. Quella più classica, è quella che segue l’ordine cronologico degli eventi che l’autore ricorda. Ma vi sono racconti molto belli, o simpatici, di periodi particolari. Ricordo di un’amica che ha raccontato la sua vita attraverso “le donne per lei importanti” (madre, figlie, nuore, amiche). E un altro che aveva descritto i suoi ultimi 15 anni di vita solo attraverso i ricordi delle estati, dei periodi di vacanze: dove era stato, chi aveva incontrato, cosa aveva fatto e provato. Un racconto può fissare un periodo particolare dell’infanzia, o della giovinezza, della paternità, di un periodo di malattia… Dunque, biografie verticali e orizzontali, lunghe o corte. Si può decidere si scrivere la propria storia non necessariamente dalla nascita, ma da un evento che ha costituito un “punto di partenza” per qualcosa di nuovo: l’anno del matrimonio,o  in cui si è cambiato lavoro, o quello della laurea, o di un viaggio… Ci sono anche biografie che l’autore fa partire da prima della propria nascita, immaginando i propri genitori prima del suo arrivo, quindi il suo muoversi dentro l’utero materno, e poi il balzo fuori (gioioso? traumatico? doloroso?…)  .

Ci sono poi autobiografie scritte in forma di lettera, come fingendo di scrivere a qualcuno (esistente o no).  Ci sono quelle scritte in prima persona, ma anche quelle in cui si gioca la finzione, e si scrive la propria storia in terza persona, come parlando di un altro, quindi marcando ancora di più la distanza tra sé, e il “film” della propria vita. E vi sono poi storie scritte in forma totalmente simbolica, anche utilizzando il ricorso alla dimensione magica e alla fiaba. Sono le storie più puramente “curative”. Quelle nelle quali l’autore cerca uno stratagemma,  una soluzione che appaghi il proprio bisogno di uscire dalla situazione di dolore.

La fiaba entra nell’autobiografia nella misura in cui l’autore non riesce a dire (o ha paura a dire) qualcosa che tuttavia lo turba. Allora fa ricorso al simbolico e all’irreale, sia per descrivere, sia per trovare soluzioni. In queste situazioni, è facile (per l’educatore, o per un insegnante)  il rischio di scivolare dalla dimensione educativa a quella propriamente clinica, che qui invece non ci compete. Ma analizzare il simbolico in chiave educativa, è comunque importante per ciò che si diceva sopra: aiutare il giovane (o adulto che sia) a capire cosa vuole dire con quella immagine, perché gli è venuta in mente quella e non un'altra, e quali sono le vie di uscita che quel simbolo, o quell’evento magico che ha inserito nella storia, lascia intravedere. 

Dall’autobiografia al diario

Chi si avvicina alla scrittura di sé, spesso trova l’esperienza talmente affascinante, dispensatrice di piacere e di conoscenza, che poi …non riesce più a farne a meno! Scrivere i propri sentimenti, le cose che accadono, le emozioni, gli incontri, diventa allora una sorta di bisogno continuo, per concentrarsi, per riflettere, meditare su stessi e sul mondo. A volte, c’è chi la propria autobiografia non la finisce mai, perché continuamente ci rimette mano, la corregge e ricorregge, in un gioco infinito di ri-ricordare, ri-scoprire, togliere, aggiungere, precisare, colorare,… Il passaggio tra la biografia e il diario, è così un percorso frequente, nonché augurabile. La “collezione” della propria vita, è una buona cura. Un quaderno, un notes grande o piccolo, un insieme di fogli bianchi. Appunti, disegni, schizzi, immagini… Anche qui, ognuno ha il suo stile. Ma questa raccolta, più o meno disordinata, servirà certo – un giorno – a capire meglio il percorso della nostra vita, tanti come e perché di cui abbiamo perso memoria, scelte fatte in epoche lontane. Oggi si usa sempre di più anche il mezzo elettronico per scrivere diari. E naturalmente, anche questo diventa oggetto   di studi e ricerche, e c’è chi vi fa le tesi di laurea. “Come i giovani comunicano se stessi, attraverso il web”.Oppure: “L’ausilio elettronico e la tecnica autobiografica”.

Ma il diario, che tra gli adolescenti è sempre stato più diffuso, è un’ottima cura anche per gli adulti, per continuare a fermarsi e ad ascoltarsi, tra le tante corse del nostro quotidiano. Per non avere l’impressione di procedere come zombi, in balia degli eventi.

Dalla scrittura di sé alla raccolta di storie.

Anche questo, un altro dei passaggi frequenti nonché auspicabili. Dall’ascoltare e narrare se stessi, all’ascoltare e narrare gli altri. Scoprire la bellezza che si racchiude tante volte nelle persone più semplici, che nessuno ascolta. Aiutare gli altri a scrivere la propria storia, oppure aiutarli ad esprimerla, in lunghi colloqui in cui si ascolta, in quasi totale silenzio e, naturalmente, in assoluta assenza di giudizio. Offrire il nostro tempo! Questa, una delle attività così rare oggi! Quanta gente è disposta ad ascoltare?  Ogni volta che raccolgo una storia (lo faccio sempre col registratore, per riprodurla il più fedelmente possibile) si finisce sempre con un sorriso, e con un reciproco GRAZIE!

Chi ha potuto raccontare, si è sentito importante, coccolato, riscaldato, almeno per un po’. Si crea comunicazione, in un rapporto che – ancora una volta- è estremamente auto-formativo.

Con questo scambio, entrambi i protagonisti  - l’ascoltatore e l’ascoltato – crescono in conoscenza, in saperi di vita. Insomma, crescono in saggezza.

Del resto, la mancanza di ascolto è uno dei mali del nostro tempo. E conosciamo i risultati. (Solitudine, depressione, amarezza…).  Come si suol dire, il tempo è un bene prezioso. Dare il nostro tempo per ascoltare una persona, un anziano o meno che sia, significa dargli qualcosa di prezioso, e lui lo sa.

Anche per questo, la raccolta di storie, in quanto dialogo e scambio, a scuola, o in qualunque altro contesto, serve a creare e a far circolare la bellezza.

Educare i giovani ad esprimere la propria storia, significa anche educarli ad ascoltare gli altri. A cercare le spiegazioni tra le righe, al di là delle apparenze.  A mettersi nei panni dell’altro. Ad essere più tolleranti, più relativisti. Più saggi.

L’autobiografia nel contesto palestinese

Una delle caratteristiche che marcano fondamentalmente da differenza tra società vagamente dette occidentali e “le altre”, è la percentuale di importanza data al singolo individuo, o alla comunità.

Le società tradizionali (contadine, tribali, ecc) erano società comunitarie, in cui l’individuo come persona singola spesso, quasi, scompariva. In gran parte è ancora così in Africa e in Asia (pensiamo al Giappone, alla Cina, dove prima di tutto viene il bene comune; benché stia cambiando, anche lì).

Le società occidentali – in cui più si sono sviluppati il capitalismo e il liberismo - pongono l’accento sull’individuo in quanto singolo. Talvolta fino all’esasperazione, lo sappiamo. Le società arabe, in quanto tradizionalmente claniche, ovviamente appartengono al primo tipo, e in senso molto forte, in quanto il clan decide e gestisce spesso anche per il singolo, financo ai matrimoni. Difficile fare scelte “personali” in contesti simili.

Ne deriva la quasi totale mancanza di “abitudine” a parlare di sé in quanto individui singoli.  Forse anche a “pensarsi” come tali. Quando si parla del proprio io, si parla dell’identità nazionale, della famiglia, delle sue storie, della causa palestinese, in questo caso, e quant’altro. Difficilmente si dice “io”. Si parla sempre del “noi” o di un generico “le persone, la gente qui…”. Dunque, gli individui parlano poco di sé, soprattutto lo fanno poco davanti agli altri, come se ci fosse un timore, un pudore. Un po’ la paura del giudizio. Un po’ l’idea che forse in quanto persone singole si è poco importanti, rispetto alla comunità e alla causa palestinese. Come mi faceva notare proprio un palestinese, questa è anche una delle differenze tra arabi e israeliani: questi ultimi, vengono educati molto di più a parlare di sé e a parlare anche in pubblico. Ne deriva che sono molto più sicuri nel farlo, più sicuri nel difendere le proprie idee e istanze. Mentre un palestinese ha sempre qualche forma in più di timidezza, ancor più poi se è una donna.

Insegnare quindi ai giovani a guardarsi maggiormente dentro in quanto persone, oltre che in quanto palestinesi, guardare cioè maggiormente all’identità individuale oltre che a quella sociale e collettiva, può essere uno stimolo importante per loro, per ritrovare una loro tipologia autentica, e decidere della loro vita, imparando ad esprimersi con maggiore sicurezza.

 

 

SECONDA PARTE

Scriviamo il romanzo della nostra vita. 20 giochi per imparare a ricordare*  

Quelli che vengono qui suggeriti sono dei veri e propri esercizi / giochi, studiati per accrescere l’attività del rimembrare. Disseppellire immagini anche lontane della propria vita, per riempire un disegno che si realizza via via, nel farsi del gioco.

Ognuna di queste proposte può essere svolta in assoluta libertà, senza limiti di tempo. Si possono fare da soli o in compagnia, reciprocamente, per conoscersi più in profondità, tra amici o anche in famiglia. Si adattano ad età diverse. Ad ognuna, il lettore-scrittore darà il significato che lui sente più pertinente (o più divertente!): un contenuto concreto e storico, ma anche simbolico o favolistico.

Ogni esercizio, rappresenterà un pezzo della propria vita, o un certo modo di guardare ad essa.

Molti tra questi comportano una parte scritta: potete scrivere su fogli sparsi, su pezzetti di carta piccoli e strappati… Se li fate tutti su uno stesso grande quaderno, alla fine vi troverete automaticamente in mano… “il libro della vostra vita”.

Oppure, vi avranno aiutato a ricordare fatti, persone, momenti, sentimenti,… E comincerete allora a scrivere realmente la vostra autobiografia, “dalla A alla Z”.

In ogni caso, potete sempre e comunque inserire tutto ciò che la vostra fantasia vi suggerisce: fotografie, disegni, cartoline, biglietti,…

Se invece usate questi suggerimenti per degli scambi reciproci, a voce, tra amici o in famiglia, è bene ricordare che non devono tramutarsi in “chiacchierate” in cui “ognuno dice la sua”! L’ascoltatore deve rimanere in quasi totale silenzio, soprattutto deve assolutamente astenersi da qualunque commento che possa rappresentare un giudizio (negativo o positivo che sia) per la persona che parla di sé. E bisogna fare in modo che questa si senta ascoltata e rispettata, mai in alcun modo giudicata per ciò che racconta, che pensa e che sente.

1. La prima volta che…

Questo esercizio – come la maggior parte di quelli proposti – sarebbe da fare dando risposte rapide, istintive, senza “scervellarsi” troppo. Può essere fatto da soli, per iscritto, o in gruppo, ascoltando ciascuno le risposte degli altri. Si può scrivere ciò che si vuole, si può saltare una parte.

 La prima volta che…

  • ho fatto qualcosa di importante per me

  • ho fatto qualcosa di importante per qualcuno

  • ho provato un dolore fortissimo

  • ho sentito la libertà

  • mi sono innamorato/a

  • ho avuto paura

  • ho scoperto l’ingiustizia

  • ho scoperto la bellezza

  • mi sono sentito/a felice

  • ho visto qualcosa che mi ha impressionato

  • ho scoperto l’esistenza del bene e del male

  • ho fatto un viaggio (vicino o lontano)

2. Le memorie del corpo. Emozioni provate attraverso i cinque sensi.

Anche qui, cercare sempre di dare risposte immediate, senza “selezionare” i ricordi.

  • GUSTO.   La cosa più buona che ricordo di avere mai mangiato, o assaggiato. Dove ero, con chi. Come mi sentivo.

  • OLFATTO.   Mi ricordo… un profumo meraviglioso, o una puzza terribile… ! Legato a persone, momenti, eventi,… A volte gli odori ci riportano a ricordi fortissimi, quasi come se il passato tornasse presente, anche solo per un attimo.

  • TATTO.   Ricordo quando ho accarezzato, manipolato, sfiorato, pressato … (può essere relativo a qualunque oggetto, persona, pianta, animale…)

  • VISTA  Quell’immagine che non posso dimenticare… “Filmati della mente”.

  • UDITO  Ricordo… Quella musica sublime, quel rumore spaventoso, il verso di un animale, una voce, un suono…

3. La costruzione della mente

Ricordo quando…

  • Ho fatto un sogno ad occhi aperti  

  • Ho fatto le scelte più importanti della mia infanzia o giovinezza  

  • Ho avuto una forte discussione, convinto/a delle mie idee  

  • Ho sentito di avere idee personali, autonome  

  • Ho provato fiducia in qualcuno  

  • Ho provato senso di colpa, e ho avuto bisogno di chiedere scusa

4. Il gioco dell’oca

(schema a parte, solo versione in arabo) 

5. Oggetti

Cose che sono pezzi tangibili della mia vita, del mio passato o presente, insomma: di me.

Forse un ricordo di famiglia, o un giocattolo di quando ero piccola/piccolo, una fotografia, un vestito. O un oggetto dal quale non potrei mai separarmi.

A quale evento è legato? Chi mi ricorda? Quali sono, e perché, le sue caratteristiche per me più importanti?

6. Parole

Una frase che mi è rimasta nella mente, che immediatamente mi ricorda qualcuno, un affetto, o una situazione negativa, forse paura, o dolcezza. Era una filastrocca, una canzone, un proverbio… Chi la diceva, quando? Cosa provavo?  E cosa provo adesso nel ricordare? (…risento quasi la presenza…)

7. L’evocazione degli stati d’animo

Questo esercizio può richiedere molto tempo. Va fatto in due successioni distinte: la prima veloce, la seconda… può non avere mai fine!

Innanzitutto si leggono le parole che seguono scorrendole rapidamente, e mettendo un segno accanto a quelle che ci ricordano uno stato d’animo che abbiamo provato.

Successivamente, andiamo a ripescare le parole che abbiamo contrassegnato, e su ciascuna di essa possiamo costruire un racconto: corto, cortissimo. Lungo, lunghissimo… (si trova solo nella versione in arabo)

8.  Regali

Ognuno di noi ha avuto tanti maestri lungo il percorso della propria vita. Persone che ci hanno dato delle cose importanti, forse senza neanche saperlo, e forse senza che lo sapessimo neppure noi. Però se ci fermiamo a ricordare certi “regali”, scopriamo che ci vengono alla mente volti inaspettati.

Anche in questo caso, è meglio una risposta veloce, scrivendo accanto il nome che ci viene alla mente. Attenzione: può essere anche che un certo regalo ci sia venuto da noi stessi! Quindi metteremo “io”. Molte cose infatti… ce le siamo costruite da soli, con fatica!

  •  Chi mi ha dato ...       La fantasia ……………………………………………….

  •  Chi mi ha dato           La forza …………………………………………………..

  •  Chi mi ha dato           La caparbietà  …………………………………………..

  •  Chi mi ha dato           La curiosità ……………………………………………….

  •  Chi mi ha dato           L’allegria  ………………………………………………….

  •  Chi mi ha dato           La prudenza ……………………………………………..

  •  Chi mi ha dato           Il coraggio  ……………………………………………….

  •  Chi mi ha dato           La capacità di cambiare ……………………………..

  •  Chi mi ha dato           La capacità di analisi ………………………………….

  •  Chi mi ha dato           La voglia di vivere ……………………………………..

  •  Chi mi ha dato           …………………………………………………………………

Naturalmente, dopo aver fatto questa lista, chi vuole potrà scrivere un racconto specifico su ciascun “chi mi ha dato cosa”. La situazione, l’epoca, i dettagli della persona, le emozioni provate allora, o adesso, se è qualcuno che si frequenta ancora.

Questo esercizio, talvolta porta al desiderio di comunicare con una o più delle persone ricordate. Potrebbe essere l’occasione per mandare una lettera… (Forse per trovare il coraggio di dire ciò che da tempo si vorrebbe dire; un grazie, un dialogo ritrovato, un sorriso).

 

9. I MOMENTI TOP

Nella nostra vita attraversiamo periodi di grandi felicità e gratificazioni, e periodi di profondi abissi. Momenti in cui ci sentiamo nel fondo di un pozzo senza luce né possibilità di uscita.

Racconta/scrivi quello o quelli che ricordi come i tuoi momenti o periodi “top”: la situazione, i luoghi, le persone, come ti sentivi e perché. Possono essere momenti di successo o di sconfitta.

Se ti sei sentita/sentito “uscire dal fondo del pozzo”, racconta anche come hai fatto ad uscirne, quali strategie hai adottato.

Può trattarsi di un periodo lungo o anche solo di un giorno. Lontano nel passato, o anche avvenuto pochi giorni prima.

10. LA FASCINAZIONE

Ci sono cose, persone, luoghi, che hanno stimolato in noi, in certi momenti, dei sentimenti di INCANTAMENTO.  Forse di grande meraviglia. Comunque di fascino. Un fascino che a volte genera un profondo amore, per quei luoghi, quelle situazioni, ecc.

Racconta quando ti è capitato. Forse durante un viaggio, o davanti un’opera d’arte, o un paesaggio, al cinema, ascoltando una certa musica, parlando con qualcuno, leggendo un libro…   

11. PASSAGGI E CAMBIAMENTI

 La nostra vita è fatta di continui cambiamenti, ponti simbolici che ci fanno passare da una sponda a un’altra, da un modo di essere a un altro. A volte sono passaggi lenti e graduali, come quelli di una relazione che finisce; a volte sono repentini, come quando si trasloca e ci si trasferisce in un’altra città, cambiando casa, lavoro e tutta la nostra vita, nel quotidiano. Ci sono i passaggi rituali e istituzionali (una nuova scuola, il diploma, la laurea, il matrimonio…). Ci sono i grandi lutti (un divorzio, la perdita di una persona amata, un periodo di malattia…). Cambiamenti casuali, e cambiamenti cercati, come quando si decide di cambiare lavoro, o almeno il datore di lavoro.

Ci sono poi quelli piccoli ma significativi: l’acquisto di una nuova macchina, o di un oggetto a cui si pensava da tempo. Piccole cose che però ci fanno sentire persone diverse rispetto a prima. 

Ci sono i cambiamenti emotivi e affettivi profondi, dati dall’aver fatto un viaggio, o incontrato persone che ci hanno fatto conoscere mondi nuovi. A volte certi passaggi avvengono anche solo dalla lettura di un libro, che ci provoca certi “clic” interiori, e ci apre nuove prospettive con cui guardare il mondo.

L’elenco degli esempi potrebbe continuare, ma non è necessario. Scrivi tu ora, sul quaderno-libro-romanzo della tua vita, i cambiamenti più importanti che ricordi di aver vissuto. Come, quando sono avvenuti, perché. Cosa eri prima, e come hai sentito di essere dopo.

12. I MIEI “MOMENTI STORICI”

 Prova a pensare, e a scrivere, quali sono i momenti “clou” che ricordi nella tua vita, mettendoli in ordine cronologico, scegliendone possibilmente solo uno per anno, cominciando dal ricordo più lontano che hai (generalmente intorno ai 3 anni).

Puoi mettere ciò che vuoi: una cosa che ti è successa, o che hai visto, una persona incontrata, un fatto che ti ha colpito accaduto ad altri, un cambiamento vissuto con la tua famiglia… Qualunque cosa, che tu senti sia stata determinante in quel periodo preciso.

  • A 3 anni ………………………………..

  • A 4 anni .……………………………….

  • A 5 anni ………………………………..

  • A 6 anni ………………………………..

  • A 7 anni ………………………………..

Di seguito fino all’età che hai ora, sempre cercando gli elementi significativi di un anno, o di un paio d’anni.

13. DESTINI

 Non tutto ciò che ci accade avviene per caso, o per nostra scelta volontaria. Vi sono momenti in cui sembra stabilirsi una curiosa alleanza tra caso e volontà, come se si fossero accordati per venirci incontro, a nostro vantaggio o svantaggio.

Vi sono poi i momenti in cui, al contrario, per quanto noi possiamo esserci adoperati per fare o per evitare una data cosa, alla fine non avviene o avviene ugualmente.

In entrambi i casi, abbiamo così la sensazione che ci fosse davvero un “disegno del destino”, un percorso tracciato.

Prova a raccontare se ti sono capitati momenti simili, i particolari. La sensazione che hai provato e che provi. Ciò che pensi, e quanto ritieni che nella tua vita abbiano giocato il caso, la volontà, il destino.

14. L’ALBERO DI FAMIGLIA

Disegna l’albero genealogico della tua famiglia, includendo anche i nomi di persone scomparse, o che non conosci perché vivono lontano. Se vuoi, metti anche delle fotografie. Oppure inserisci i luoghi in cui le diverse persone vivono, che possono essere villaggi, città o paesi diversi. A volte sentiamo come parte della famiglia anche persone non consanguinee, che naturalmente scriveremo.

Non sono esclusi neppure gli animali !  A volte accompagnano la nostra vita per molti anni, e quando ci lasciano provocano in noi un lutto profondo.

Anche in questo esercizio, sentiamoci completamente liberi di inserire chi per noi è importante. (Lo facciamo per noi stessi, e non dobbiamo rendere conto a nessuno! ).E’ un bell’esercizio, che spesso ci porta ad “intervistare” i parenti per chiedere nomi di persone che non ricordiamo, o dove sta uno, dove è finito l’altro, quanti figli ha avuto quello zio in America…  Può essere divertente, e spesso rivela sorprese inattese.

15. ARCIPELAGHI

 Il nostro passato, nonché il nostro quotidiano, sono composti da tanti “arcipelaghi” ciascuno a sua volta composto da tante isole, isolotti, scogli, con luoghi riposanti e piacevoli, o insidiosi, o frustranti. In ognuno di essi, spesso il nostro ruolo cambia completamente, giochiamo parti diverse

Prova ad elencarli, a descriverli, a raccontarne le caratteristiche, a dire come ti ritrovi in ciascuno di essi, e come “navighi” tra un arcipelago e l’altro, tra un’isola e l’altra.

Esempi: arcipelago del lavoro; arcipelago classe; arcipelago famiglia; gruppo di volontariato; gruppo con cui faccio teatro; arcipelago amici delle vacanze; ecc…

16. IL CERCHIO DEGLI AMICI

Sul quaderno della tua vita, disegna un cerchio e scrivici dentro il nome di tutte quelle persone che fanno parte  o hai incontrato nel tuo percorso di vita,  che ti sono assolutamente care, e vorresti non dimenticare mai.

17. FASI

Siamo arrivati a quello che è il modo più classico e tradizionale di scrivere la propria storia: l’ordine cronologico. Chi si cimenta con questa attività, scrive davvero “Il Libro” della propria vita. Un libro con un numero indefinito di pagine: 20, 100, 200… E che spesso, non finisce mai di essere rivisto e corretto dall’autore, perché gli vengono in mente altri particolari, pezzi da aggiungere o da togliere, prospettive diverse, quindi diverse analisi.

Puoi seguire le fasi consuete, Infanzia-Giovinezza-Maturità-Anzianità, ma all’interno di queste definisci delle sotto-fasi. Per esempio l’epoca della scuola, i rapporti con i genitori e i nonni, da bambini, i giochi con i compagni; la famiglia, le condizioni economiche e relazionali; le scuole superiori o il lavoro, gli innamoramenti; fidanzamento e matrimonio, oppure università, attesa e arrivo del primo figlio, viaggi … ecc.

Cerca anche di dare dei titoli ad ogni capitolo, che definiscano ciò che per te è importante, qualcosa in cui ti riconosci, relativamente al periodo descritto. Può anche essere una frase stessa all’interno del capitolo.

Alla fine, sarà necessario attribuire un titolo a tutta l’opera. Ricordo quello di un’amica: “Una pianta di pere color ruggine”. Era il suo ricordo di un’immagine dell’infanzia, che le è rimasta dentro sempre, perché quella pianta era stata un po’ come un “LA” per la sua vita.

Ricorda di sentirti assolutamente libera/o nello stile che scegli. Tieni sempre ben presente che non stai scrivendo un libro da pubblicare, o qualcosa da far leggere ad altri, che giudicheranno il tuo lavoro. Stai scrivendo per te. Puoi scrivere ciò che vuoi, come vuoi, facendo anche gli errori di grammatica che ti vengono: nessuno ti darà il voto!!!

Potrai scrivere in prima persona o in terza, potrai fingerti lo “scrivano” di qualcun altro, come se scrivessi la vita di un’altra persona. Puoi anche scrivere in forma di lettera, come se ti rivolgessi a qualcuno, che esista o no. Puoi seguire l’ordine cronologico ma anche andare “per salti”, cioè tornare indietro di tanto in tanto. Puoi scrivere in maniera più didascalica, quasi “documentaristica”, oppure utilizzando le metafore o anche pezzi di poesia. Lo stile, è estremamente esplicativo della nostra personalità e del nostro stato d’animo. Per questo, non ve ne è uno giusto e uno sbagliato, ma ciascuno deve trovare il proprio, quello in cui si sente meglio.

Quando il tuo libro sarà ultimato, deciderai tu se e a chi farlo leggere.

18. AUTORITRATTO

E’ l’esercizio più difficile tra tutti quelli proposti. Fino ad ora si è andati alla ricerca dei ricordi, per metterli insieme. Ora, si tratta di dare una descrizione di quell’insieme – cioè di te – che sia fedele ma breve, e rapida.

Non si tratta naturalmente di un “mettersi alla ricerca della verità”, che sappiamo non esiste in quanto tale ma è sempre mutevole, e ognuno ha la sua. Però, in non più di dieci minuti, prova di fare la tua descrizione, un  tuo profilo.

Come ti vedi, le qualità e/o i difetti che ti attribuisci, le cose che ti piace fare o che sogni di fare, come pensi che sia stata la tua vita, fino a questo momento.

19. LA METAFORA

Prova a trovare una o più metafore per descrivere la tua vita, o diverse fasi di essa, o il tuo stato d’animo attuale.

20. MESSAGGI IN BOTTIGLIA

Sei in mezzo al mare. Hai una bottiglia e un pezzo di carta per lasciare all’infinito un tuo saluto, un commiato, una brevissima immagine che parli di te. Può essere una frase, una poesia, un disegno, un pensiero vago o concreto, un inno. Ciò che conta, è che rappresenti la tua essenza, e che lasci detto al mondo chi sei e chi eri.  

***

Nota: * Questi esercizi sono stati liberamente tratti e adattati dal libro di Duccio Demetrio “Il gioco della vita”. Milano, 1997

   

TERZA PARTE.

L’AUTOBIOGRAFIA NEL CONTESTO SCOLASTICO.

SUGGERIMENTI PER GLI EDUCATORI .

Come abbiamo detto già nella prima parte di questo breve “manuale”, l’autobiografia si e’ diffusa molto, oltre che come attività personale, sociologica, di ricerca, anche come attività educativa, per giovani e per bambini.

Diamo qui dunque qualche suggerimento per farne uso in ambito scolastico.

- Innanzitutto e’ bene ricordare che un insegnante che voglia adottarlo come metodo di lavoro a scuola (cosi’ come un educatore per il tempo libero o per situazioni difficili) dovrebbe prima di tutto farne uso lui stesso, in prima persona. Quindi utilizzare prima su di se almeno una buona parte degli esercizi sopra descritti. Questo e’ indispensabile per poterli poi utilizzare con altre persone: bisogna “esserci passati”. Ciascuno puo’ scegliere il “taglio da dare” alla propria scrittura. Puo’ essere personale, ma anche professionale, nel senso di andare a “passare al setaccio” la propria storia lavorativa (che insegnante sono?  come ero quando ho cominciato? quali erano le mie aspettative? I miei modelli? Cosa ha funzionato e cosa no? Ecc...) 

- La seconda regola (che non ci stanchera’ mai di ripetere) e’ che quando si usa questa tecnica bisogna ricordare costantemente che l’ascoltatore deve assolutamente ASTENERSI DAL GIUDIZIO.  Passare dal racconto di se’ al pettegolezzo e’ molto facile, se non si entra in una logica che deve essere al tempo di distacco (nel senso di non farsi coinvolgere in prima persona da cio’ che si ascolta e quindi non giudicare)  e di ascolto umano totale. La persona che si apre (qualunque sia la sua eta’) deve sentirsi ascoltato e con-diviso, ma non giudicato. Quindi non ha importanza che l’ascoltatore sia d’accordo o no con quanto l’altro dice. Deve saper contenere – eventualmente – il proprio senso di fastidio, o di disgusto, o quant’altro possa sentire nel conteso del racconto. Questo a parole sembra facile, ma da realizzare e’ molto difficile. Tanto piu’ nel contesto educativo, quando si pensa che un essere piu’ giovane sia sempre inevitabilmente l’individuo al quale noi adulti dobbiamo “insegnare a vivere”. Per un insegnante puo’ essere molto difficile ascoltare i suoi ragazzi o leggere i loro scritti senza entrare nel merito di giudizi personali anche di ordine morale. Ma questo e’ un’esercizio molto importante anche per lui, per accettare le differenze, e far in modo che ciascuno sia se stesso. Attraverso gli scritti autobiografici, un isegnante deve saper aiutare i ragazzi a trovare se stessi, non cio’ che lui preferisce per loro. Puo’ conoscere i loro sogni. Puo’ aiutarli a scoprire i loro talenti, a superare le difficolta’, a vedere il sole dietro le nubi. Ma non deve mai cercare di tracciare una strada che non c’e’.

- Altra regola di fondo, non sempre rispettata ma fondamentale, e’ il DIRITTO ALLA PRIVACY. Quando la scrittura di se’ viene usata in ambiti che prevedono piu’ di due persone, occorre che per ogni attivita’ sia definito il “contratto”. Ovvero: chi e cosa puo’ essere letto in pubblico e divulgato, e cosa no. Nessuno deve essere forzato a far leggere le proprie cose agli altri, e il ragazzo o la ragazza che scrive delle cose pensando che le legga solo un certo insegnante, e’ bene che non venga tradito in questa sua certezza. Alcuni dei giochi presentati sopra possono prevedere cose che una persona si sente di non dire pubblicamente. Questo deve essere rispettato. Se uno studente si apre con un docente, scrivendo cose che gli fa leggere, questo ha modo di conoscere il mondo del ragazzo, i suoi problemi, i suoi sogni, le sue paure, i suoi sensi di inferiorita’ rispetto agli altri, forse anche i problemi famiiari, ecc. Il ragazzo o la ragazza, deve quindi sapere di avere nell’insegnante un alleato, non un  esaminatore. Almeno non attraverso questa attivita’. Un conto sono i testi di studio, la lingua, le materie scolastiche. Un conto e’ la scrittura di se’. Questa stabilisce un rapporto, ed e’ bene che il contratto di questo rapporto sia chiaro dall’inizio.  

- Queste regole, non valgono solo per il rapporto insegnante-studente, ma anche per i ragazzi tra di loro. Quando si parla in gruppo di cose personali, gli stessi ragazzi devono imparare (e questa attività li aiuta a farlo) ad ascoltare in silenzio, senza interrompere, senza giudicare, senza fare risatine o ironizzare. Questo tipo di colloquio e’ quindi estremamente formativo per imparare ad accettare gli altri per quello che sono, quindi accettare le differenze (che poi e’ uno degli elementi di base per l’educazione alla democrazia e alla pacifica convivenza), e mettersi anche nei panni degli altri. Capire che ognuno ha reazioni diverse anche se in situazioni simili. Che non esiste mai un solo modo di vedere le cose, e non esiste mai una sola verità. Questo confronto aiuta ciascun partecipante a meditare, a considerare punti di vista diversi, e diverse possibilità di scelta anche per se stessi. Questa e’ la fase quindi più propriamente autoformativa per il gruppo, perché ciò che i singoli vorranno ritenere alla fine, sarà sorto dal loro lavoro di scambio e riflessione, non da insegnamenti dati dall’esterno, come delle ricette pronte da seguire.

Veniamo ora a considerazioni specifiche per i diversi ambiti scolastici, cominciando dalla scuola elementare.

Quando con i bambini si comincia a studiare la storia e la geografia (a seconda dei paesi e dei diversi curricula)  generalmente si comincia dal mondo del bambino: il suo spazio, la sua casa, la sua famiglia, ... per allargarsi via via all’ambiente circostante: le strade intorno alla casa, il villaggio, i negozi, i mestieri, chi-fa-cosa, le attività del mattino e della sera, ... e poi ci si allarga ancora: le altre città, la mia regione, il mio paese, gli altri paesi... Dunque, si parte spesso da quella che e’ una “biografia” personale. La storia del bambino, attraverso disegni, temi, cartine geografiche disegnate da loro, ecc.

Questo e’ un lavoro molto delicato, in cui spesso i bambini trovano le loro prime difficoltà nel confrontarsi con i coetanei, e l’insegnante trova difficolta’ a gestire le situazioni anche solo minimante complicate o problematiche.

A volte ho trovato insegnanti che per ovviare queste difficolta’ hanno preferito tornare a vecchi metodi, e fare la storia cominciando direttamente a parlare dell’uomo primitivo, a bambini che magari non hanno ancora acquisito neanche le nozioni base di tempo e spazio. Oppure trovi gli insegnanti che i conflitti e le sofferenze nei bambini li creano realmente.  Il caso tipico e’ quello di tanti bambini che non sanno bene come disegnare il componimento della loro famiglia, perche’ un genitore non c’e’ piu’, o perche’ hanno divorziato. Oppure, ancora piu’ difficili, i casi in cui i genitori separati stanno insieme a persone diverse, magari hanno altri figli, e non si capisce piu’ dove comincia e dove finisce la famiglia del bambino.

Ci sono i casi delle madri sole, dei bambini che il papa’ non lo hanno mai conosciuto. Ricordo di un bambino che disegno’ lui, la mamma, e il compagno della mamma, e la maestra ebbe la grande delicatezza di dirgli “no, quello non lo devi mettere, non e’ il tuo papa’ vero”. (Complimenti!!!). Oppure il caso di una bambina di 10 anni, che disegno’ lei, i genitori, suo fratello piccolo, nel giorno delle nozze di mamma e papa’. E subito l’insegnante a dire “non va bene, quando si sono sposati voi ancora non c’eravate”. In quel caso non ha solo mancato di delicatezza, ma anche dato prova di ignoranza perche’ i fatti erano proprio cosi: i due genitori stavano insieme da 20 anni, ma non si erano mai sposati, e quando lo hanno fatto la bambina era presente e ha festeggiato con loro!

Il fatto che parlare delle storie dei bambini sia un compito difficile, non significa che per i maestri elementari sia “meglio evitare”. Al contrario. I bambini hanno bisogno di esprimere le condizioni in cui sono psicologicamente. E hanno bisogno (e diritto) di trovare supporto, sostegno, negli adulti che hanno intorno. Compito degli insegnanti, anche in questi casi, e’ prima di tutto portare rispetto e – ancora una volta – non giudicare. Non giudicare mai. Puo’ essere una ferita terribile per i bambini sentire anche solo un commento ironico, una considerazione critica. E questa ferita rimane, e a quel punto il dialogo e’ chiuso. Il bambino sa che non si puo’ fidare di quell’adulto.

I disegni dei bambini sono le loro autobiografie. Ci si deve rapportare allo stesso modo. Sono gli specchi della loro anima.

Sono gli strumenti, per i maestri e le maestre, per capire le difficolta’ dei loro bambini e quindi cercare le strade per sostenerli. Ma bisogna parlare, non evitare gli argomenti. Se un argomento viene evitato per paura, perche’ l’adulto non sa come affrontarlo, questo significa che il bambino viene lasciato solo.  Bisogna cercare di capire le sofferenze che unbambbino ha dentro, e fare in modo che riesca ad esprimerle: in questo modo, si sentira’ piu’ leggero, sapra’ che ha almeno qualcuno con cui condividerle, e da cui avere sostegno.

Per questo quindi, l’uso dell’autobiografia ha visto negli ultimi anni varie sperimentazioni anche nella scuola elementare, particolarmente nelle situazioni piu’ difficili: dove c’e’ un alto tasso di immigrazione, quindi bambini di provenienza diversa, con difficolta’ di adattamento. Bambini che hanno vissuto il trauma dello sradicamento: passare da un paese a un altro, dove si parla un’altra lingua, dove la gente e’ diversa da quella che si vedeva prima, tutti i giorni.  Oppure in situazioni sociali di emarginazione sociale per varie ragioni.

La scrittura di se’, come abbiamo detto, aiuta nell’analisi del problema, e nella ricerca delle soluzioni.

Per quanto riguarda le scuole medie e superiori  possono essere utilizzati tutti i giochi e gli esercizi visti sopra, adattandoli se necessario alla singola situazione.

In particolare bisognera’ cercare gli argomenti tipici dell’eta’ e delle problematiche adolescenziali: considerazioni sull’amicizia e rapporti con i coetanei, aspettative rispetto agli studi e al futuro, concezioni dell’amore e dell’altro sesso, concezioni della vita, dei valori sociali, come la solidarieta’, i diritti umani, la fede religiosa, (sempre senza mai dare niente per scontato! Ognuno deve avere la liberta’ di esprimenrsi, secondo il proprio credo o l’ateismo), la tutela dell’ambiente, ecc.

La scrittura autobiografica alle scuole superiori puo’ rientrare nell’insegnamento delle materie letterarie, e proseguire lungo piu’ anni. In questo modo gli studenti conserveranno i loro lavori, e sara’ piacevole oltre che interessante vedere – alla fine della scuola – sui loro quaderni/ diari / libri della loro vita,  il percorso che hanno fatto e come si presentano verso quello che hanno davanti.

Bibliografia  

  • The Autobiography of Malcolm X -- by Malcolm X, et al; Mass Market Paperback

  • Gandhi An Autobiography: The Story of My Experiments With Truth Beacon Press

  • Long Walk to Freedom: The Autobiography of Nelson Mandela Little Brown & Co

  • My Land and My People: The Original Autobiography of His Holiness the Dalai Lama of Tibet - Warner Books

  • Survival In Auschwitz - by Primo Levi   Touschstone Books

  • Hard Times: Force of Circumstances, 1952-1962 (Autobiography of Simone De Beauvoir) Marlowe & Co

  • Daughter of Isis: The Autobiography of Nawal El Saadawi Zed Books

  • Keeping Faith: Memoirs of a President, Jimmy Carter    University of Arkansas Press

  • Every Second Counts, Lance Armstrong   Broadway Books

  • The Downing Street Years, Margaret Thatcher    HarperCollins

Note
[1] Il giornalista che lo ha fondato è Saverio Tutino, che è stato tra i fondatori di uno dei principali quotidiani italiani, nel ’75, “La Repubblica”. L’Archivio ha sede nel Comune di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Quando arrivate in questo paesino tra bellissime colline ricche di storia, potete vedere un grande cartello con scritto “Pieve Santo Stefano. Città del diario”.  www.archiviodiari.it  qui si trovano anche link su altri archivi, in altre lingue.
[2] SI veda in particolare il lavoro e le pubblicazioni dell’ong senegalese Enda Tiers Monde, www.enda.sn
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© Silvia Montevecchi