IL RACCONTO DI  PADRE ANGELO BUCCARELLO,

MISSIONARIO IN MADAGASCAR PER 32 ANNI.

18 ANNI DI LAVORO NELLE CARCERI.

 

Realizzata da Silvia Montevecchi, Bologna, 3 dicembre 2001.

In un bel ristorante indiano-pakistano, mangiando deliziosi manicaretti…

Caro padre Angelo, vorrei che tu mi raccontassi un po' della tua vita, della tua storia: dove sei nato, cosa hai fatto, qualcosa della tua famiglia, come sei arrivato a farti prete, ad andare in  Madagascar, a lavorare nelle carceri...  Le difficoltà, le cose belle, i rapporti con la gente,...  Fino ad arrivare ad oggi, possibilmente, nel tempo che abbiamo a disposizione. Certo, ci sarebbe da parlare per due giorni, mentre qui abbiamo sì e no due ore, mah... ci proviamo.

Eh, non sarà facile, ma vediamo un po'…     Sono nato  a Salignano, una frazione di Castrignano in Puglia, vicino a Leuca (Lecce). A 3 km dal mare. Era il 1942, quindi in piena guerra. La mia famiglia era povera ma non poverissima. Almeno avevamo una casa, che era la nostra. E quando io avevo circa 7 anni, tutta la famiglia (eravamo 6 fratelli) si trasferì in una casa più grande a Castrignano Mio padre invece dovette andare a lavorare in Svizzera.

Entrambi i miei genitori erano molto di fede, e io già da piccolo cominciai a frequentare un sacerdote - Don Nino Fersurella - che raccoglieva intorno a sé i primi chierichetti, e un altro salesiano - don Nicola Rosafio - del paese anche lui.  Da bambino, ricordo che ero felice quando potevo rendere un servizio agli altri, alle persone anziane. E  già quando ero in 3a elementare sentii il desiderio di farmi prete. In generale ...non ero molto dotato per gli studi. Me la cavavo bene solo in matematica.  Alla fine delle elementari, volevo entrare in seminario. Vi era un collegio missionario dei padri  trinitari non lontano dal mio paese,

e io volevo già entrare ma c'era da pagare una retta che i miei genitori non potevano sostenere. Così cominciai a lavorare. Feci un po' di tutto: il barista, il muratore, il pecoraio... per guadagnare qualcosa. Ricordo che un giorno, alla vigilia di Natale, io facevo il pastore, avevo un dozzina di pecore e qualche capra, e il montone cominciò ad aggredirmi con le sue corna enormi. Mi prese in pieno e mi sbatté per terra ferendomi. Io avevo 10-11 anni, ed ero un tipo magrolino, gracile, molti parenti dicevano addirittura che non avrei vissuto a lungo. Sicché per questo montone fu facile rivoltarmi come un pupazzo. Mi colpì più volte e io avrei potuto morire così. Riuscii, non so come, a prenderlo per la zampa davanti e bloccarlo, poi mi buttai nel canale vicino, lui cercò di colpirmi ancora ma non ci riuscì e si allontanò. Io cominciai  a gridare aiuto, ma ero nella campagna deserta. A un certo punto passò in lontananza un carro tirato da un cavallo, con due uomini. Non mi sentirono subito perché le grida erano coperte dal rumore del carro, ma poi sentirono bene e vennero a salvarmi. Ero tutto insanguinato!

Successivamente, quando mi sono trovato in Madagascar, e dovevo fare di tutto, ho pensato che anche quel periodo rientrava nel disegno generale della Provvidenza. Era stata certamente "una bella scuola"!

Due anni dopo, poiché io avevo ancora voglia di entrare in seminario, i Padri trinitari accettarono di aiutarmi riducendo la retta da pagare, e così ripresi gli studi. All'inizio fu piuttosto dura, sia perché io - come ho già detto - non ero una cima, sia perché avevo perso due anni lavorando. Comunque, a giugno avevo recuperato abbastanza bene. Mi capitò allora un altro incidente. Il padre maestro ci aveva portati al mare, a Leuca, e io sapevo nuotare ma molto poco; a un certo punto mi trovai a non toccare il fondo e stavo affogando. Mi tirarono su tutto stordito e poi mi ripresi. Insomma... anche questo fa parte della vita!

Finita la 2a media, con i miei compagni siamo stati trasferiti a Palestrina , vicino Roma, per le classi superiori. Io mi sentivo indietro negli studi. Ero quasi l'ultimo della classe ed ero per questo denigrato dai compagni! Così chiesi al maestro di allora, p. Placido, di ripetere un anno per recuperare un po'. Ricordo che lui mi disse "Ma no, dài sforzati, tu devi andare avanti, e diventare presto sacerdote! C'è tanta gente che ti aspetta, che ha bisogno di te. Niente anni da ripetere. Vai avanti!"  Io allora proseguii e andò abbastanza bene. Mi sono sempre ricordato quel particolare perché quando,   11 anni dopo, mi ritrovai in Madagascar, e dopo i primi studi del malgascio andai a lavorare a Moramanga.  Quando feci la prima tournée per visitare un decina di villaggi, trovai un villaggio dove la chiesetta era considerata morta, non era più visitata da tanti anni. Proposi al padre direttore di lavorare anche lì e lui mi disse che essendo appena arrivato e non conoscendo bene il malgascio, gli sembrava una situazione un po' eccessiva per me, quindi di lasciarla stare. Ma io insistetti e così ci andai. La gente ne fu immensamente felice!  Gli abitanti credevano di avere avuto una maledizione perché nessuno si occupava più di loro, da dopo che l'ultimo missionario era andato via. Mi fecero una grande accoglienza, quasi fossi "il Salvatore"!  Dicevano "...è da 11 anni che aspettiamo!".  E così mi ricordai di quel padre che mi aveva detto "vai avanti, che c'è qualcuno che ti aspetta!".

Ho sempre avuto la percezione che ci fosse un disegno nella mia vita, che Dio conducesse il mio cammino. Mi trovavo a pensare sovente: "Se sono qui,  è perché Dio adesso ha bisogno di me qui". E così ho sempre trovato la forza di andare avanti, anche nonostante le difficoltà incontrate.

A Palestrina feci la scuola media e il ginnasio, poi a Cori di Latina il noviziato. A Livorno ho fatto il liceo e a Roma ho studiato filosofia e teologia. Io ero più portato per le scienze. Ero anche un gran bricoleur. Sapevo fare un sacco di cose, così avevo riconquistato un po' della stima dei miei compagni. Anche se, al liceo, non andavo molto bene in greco e latino... in matematica mi rifacevo, e potevo aiutare quelli che andavano peggio. Durante gli studi di teologia, era il periodo del '68 e anche da noi ci fu una bella contestazione. Io ero un animatore di contestazione moderata. 

A quell'epoca pensavo che, una volta diventato prete, avrei voluto occuparmi della formazione dei giovani. Non pensavo affatto di andare in terra di missione. Ma il Padre Generale, di ritorno da una visita in Madagascar, aveva scritto una circolare dove descriveva ciò che aveva visto, e i bisogni che vi erano allora tra quella gente. Lanciava inoltre un programma in cui stimolava i giovani preti ad offrire 6 anni della loro vita per lavorare in Madagascar. Sentii immediatamente, dentro di me, la chiamata ad andare! Scrissi subito al Procuratore delle missioni offrendo la mia disponibilità. Credevo di ricevere subito una risposta entusiasta, ma lui  invece disse di riflettere bene sulla decisione. Ad ogni modo, dopo poco tempo, si decise che potevo andare. Mi proposero di fare il 4° anno di teologia in Madagascar, così mentre finivo gli studi cominciavo a imparare la lingua. Fui ordinato sacerdote sei mesi prima e, primo nell'ordine dei Trinitari, ordinato a quel paese. Finii comunque il 4° anno di teologia a Roma perché il programma di studi era diverso nei due paesi.

In realtà poi la licenza non l'ho mai presa perché proprio allora il professore con cui avevo fatto la tesi dovette andare in Yugoslavia, dove era morta sua madre... così non potei fare gli esami.

Io ero sempre stato un carattere focoso, ma anche un po' indeciso. Ricordo che ebbi una crisi di vocazione specie prima della professione solenne, …l'ingaggio definitivo nell'Ordine! Tra l'altro, avevo paura che avrei fatto morire di pena mia madre, se avessi abbandonato. Allora mi chiedevo se mi facevo sacerdote per lei o per la mia vocazione. Proprio mentre mi tormentavo con queste domande, ricevetti una sua lettera in cui diceva di non preoccuparmi per lei, di seguire la mia strada, di andare avanti  solo se me la sentivo. Mi sentii davvero rincuorato. Fu come se avesse sentito i miei pensieri. Ringraziai il Signore e presi la mia decisione.

Anche la mia partenza nel Madagascar subì una grande crisi. Fui analizzato da sacerdoti e psicologi che dovevano stabilire se ero adatto a partire o no! Il loro responso fu negativo! Loro sconsigliarono decisamente la mia partenza. Io, dopo riflessione e preghiera, feci un atto di fede nel Signore, strinsi i pugni e dissi "Loro dicono di no? e io ci vado!" Mi avevano posto ancora di più davanti alla sfida. E poi, tutto è andato bene. Sono partito l'8 ottobre del 1969, accompagnato da un anziano missionario. C'erano dei voli speciali, più economici. Ci dovemmo fermare a Nairobi per prendere da lì un charter. Io fui il primo a viaggiare in aereo; fino ad allora i missionari in Madagascar ci erano andati in nave.

Passai 15 giorni a Tanà e Ambatondrazaka, poi andai a studiare il malgascio ad Ambositra e  Fianarantsoa per 6 mesi. Mi piaceva moltissimo fare fotografia e avevo preso un ingranditore. Mi mettevo al lavandino la notte, nella mia camera in Madagascar e sviluppavo le fotografie che poi facevo asciugare sul letto. Ero diventato un po' famoso per questo. Come ti ho già detto, le mie capacità intellettuali non erano un gran ché, ma quelle manuali invece sì. Io, anche da giovane facevo un po' di tutto, anche il giocoliere, il burattinaio, il prestigiatore… Ero un animatore di feste. Così la gente, mi prese presto in simpatia. Appresi il malgascio più per strada che a scuola. Durante questi sei mesi di studio, feci anche diverse visite nei villaggi in foresta. Allora si faceva tutto a piedi, con i bagagli sulle spalle e sulla testa. Finiti i sei mesi, andai a Moramanga e da lì nel distretto di Anosibe an'ala, in foresta. Era un posto durissimo,  ci si andava solo e sempre a piedi. Nelle tournée, che duravano una/tre settimane, trovavo spesso pioggia e fango.  Ma la gente era semplice, buona, genuina, e mi colpiva la grande solidarietà che vi era nei villaggi. Ricordo una donna che doveva partorire, ma aveva delle difficoltà e dovevano farle un cesareo. L'avevano messa su una barella improvvisata con il bambù per portarla ad un ospedale, ed era lontano. Quando c'era da passare un fiume - non potendo passare insieme per portare una barella sul ponte costituito da un solo tronco - bisognava fare anche km e km di più per andare nel punto dove si potesse guadare. Ma lo facevano volentieri, perché il malato, l'orfano, erano di tutti. Tutto il villaggio era una famiglia.

I Betsimisàraka erano molto cordiali, aperti e accoglienti con noi forestieri. Ci invitavano a fermarci nelle loro capanne. Erano poveri, ma non c'era la miseria che c'è adesso. Vivevano di caffé e riso, che coltivavano in collina dopo aver tagliato la foresta. Quando noi passavamo tra i villaggi, loro ci accoglievano come a dire "guarda un po', voi che siete stranieri, venite da lontano per stare con noi, mentre i nostri capi non vengono qui che a ritirare i soldi delle tasse!". I francesi avevano lasciato un sistema secondo cui tutti gli uomini a partire dal 21° anno di età dovevano pagare le tasse. Però la legge diceva che potevano essere pagate in 3 rate durante l'anno, mentre i capi cantone (che volevano farsi grandi agli occhi dei superiori) pretendevano l'intero pagamento già nel mese di marzo. Così la povera gente appena finito di raccogliere il riso, era obbligata a venderlo a prezzo bassissimo per pagare l'intera tassa, e poi ciò che le rimaneva non bastava per tutto l'anno. Quindi doveva utilizzare il poco guadagno del caffè per comprarsi di ché mangiare fuori stagione, pagando il riso tre volte di più! Ma la gente era serena. Faceva lunghissimi viaggi a piedi, con 30 o più chili di riso, o caffè o altro da vendere... ma era gente tranquilla, che non si lamentava.

E' stato lì, in foresta, che ho conosciuto la gente semplice, che viveva in capanne, con una grande solidarietà e anche una grande organizzazione. I capi villaggio, a quell'epoca, non diventavano capi per questioni politiche, ma perché erano riconosciuti tali: per la loro esperienza, per quello che avevano fatto. Per questo tutti li ascoltavano. Non era un'organizzazione burocratica come la intendiamo noi, ma era ben riconosciuta e nessuno era "fuori del villaggio". Era tutta una famiglia. Se c'era un handicappato, come ne conobbi molti, era il figlio di tutti. Quella donna che doveva partorire... nessuno avrebbe detto "arrangiati". No, tutto il villaggio si era messo in moto per trovare le persone che portassero a turno la barella per tanti km nella foresta. Era gente meravigliosa.

Quando poi è arrivata la politica, con la dittatura socialista, è stato il disastro. E' così che sono cominciati in Madagascar la corruzione e l'impoverimento della gente. A quell'epoca se la cavava, poi ha cominciato a diventare sempre più povera. La gente non era nemmeno più libera di vendere il caffè a chi voleva. Prima, i contadini facevano decine di km a piedi per portare il caffè ai commercianti che lo acquistavano, e con i soldi che ricevevano potevano comprare quello che volevano, che serviva alla famiglia. Dopo, furono costretti a prendere, anziché i soldi, un "ticket" (con il quale non potevano neanche comprarsi da mangiare dopo aver fatto tanti km a piedi) che avrebbero utilizzato più tardi …quando i soldi arrivavano. In questo modo, tutto il sistema originale è stato distrutto, e tutta l'organizzazione è saltata per aria. Compresa la solidarietà.

Io ho amato moltissimo quella regione. Ho incontrato dei cristiani che nonostante vedessero il sacerdote solo 3 o 4 volte l'anno, avevano una grande fede e mi erano di esempio. Andavamo nei villaggi facendo 10-20 km a piedi, e quando arrivavamo la gente ci faceva una gran festa, soprattutto i bambini. La gente pur abitando nelle campagna si passava la voce e si raccoglieva nel villaggio. A sera si stava tutti insieme, nelle capanne, con le lampade a petrolio. C'era tanto entusiasmo, cantavamo fino a mezzanotte, si dialogava ... Noi portavamo un po' di medicine, certo non eravamo medici, ma abbiamo curato tantissime persone, anche con la semplice nivachina, qualche antidiarroico, o antigastrico. Facevamo del nostro meglio. Ci facevamo aiutare nell'animazione sociale dai quei pochi che sapevano leggere e scrivere, che diventavano catechisti, quasi come sacerdoti.

Sono rimasto 8 anni, in quella zona, dove ero andato per stare solo per 4 mesi, e sono quello che ha resistito di più tra gli stranieri. Essere mandati ad Anosibe an’ala era quasi considerata come una punizione. E’ una zona durissima. Anche oggi per fare i 71 km prima di arrivare a volte occorrono 15 e più ore di auto 4X4, o si va in trattore! Una volta dovetti farli tutti a piedi perché un ciclone aveva distrutto la strada! Per me era comunque un posto bellissimo, che mi ha aiutato a capire e amare ancor più i poveri. Per me è stato, come si dice, il mio primo amore.

I primi tempi furono molto duri, e in effetti passai un po' di crisi. Mi sentivo davvero un po' abbandonato, perché altri preti e il vescovo erano lontani. Veniva voglia di mollare tutto e andarsene via. Però ho resistito. Ricordo molto bene quella crisi, e ricordo che mi dissi "ma io sono venuto qui per il vescovo, per i confratelli, o per questa povera gente?!"  Così andai avanti, cercando di fare qualcosa di buono.

In quel distretto mi occupai di costruzioni. Avevamo bisogno di locali nella missione, per le attività sociali, la formazione dei catechisti, una sala da teatro per i giovani. Così con gli operai locali facemmo una grande sala e 4 grandi cameroni: dormitori e sale.

Ai miei superiori poi piacquero le costruzioni che avevo fatto e mi chiesero di lavorare per la costruzione di una nuova chiesa che era da costruire a Moramanga. Aveva una struttura molto particolare, ottagonale, e a 3 livelli concentrici che si restringevano a cupola. Il fratello incaricato delle costruzioni diocesane non se la sentì e allora l'affidarono a me. Studiai molto la cosa e ne sentivo tutta la responsabilità. Rimasi 3 anni a Moramanga, finii la chiesa, cominciai a farla funzionare da parrocchia e costruii la prima parte del noviziato.

Poi fui nominato Delegato generale superiore e responsabile della formazione a Tananarive, succedendo al p. Antonio Albeniz, che si occupava delle carceri già dal 1974. Quando arrivai a Tanà era il 1981. Lui aveva trovato dei prigionieri torturati, a cui avevano strappato la pelle dei piedi, e ne aveva parlato con un avvocato francese, corrispondente di Amnesty International per il Madagascar, il quale denunciò   la cosa ad Amnesty. La polizia segreta, (a quel tempo c'era un governo totalitario, con Ratsiraka - che poi è lo stesso che c'è adesso), aveva trovato i suoi documenti e le sue denunce. In 24 ore quell'avvocato dovette lasciare il Madagascar.

Padre Antonio fu chiamato a Roma e così io dovetti sostituirlo come cappellano delle carceri.

Mai in vita mia avrei pensato di fare il cappellano delle carceri, tanto mi pareva difficile. Guarda caso, ci sono caduto dentro in pieno. Allora visitavo e celebravo la messa, portavo la Comunione a chi la chiedeva, semplicemente. Poi dei volontari si proposero di venire ad aiutarmi, e data la situazione catastrofica, …predicare anche l'amore di Dio a della gente che moriva . .  che senso aveva ?

Cominciammo a offrire, una volta alla settimana, un bicchiere di latte ai 140 detenuti  che stavano in infermeria; nelle carceri di Tanà c'erano allora 4000 carcerati, in condizioni pietose.

Poi trovammo il modo di avere del riso, e allora cucinavamo riso con il latte, poi abbiamo allargato il numero, i giorni e così via. Abbiamo cominciato così l'attività sociale. Alla fine dell'84-85, morivano in carcere quasi 10 persone al giorno, a causa della denutrizione e della sporcizia. Era terribile.  Una suora poi venne ad aiutarci nell'infermeria, organizzammo la scuola all'interno, una biblioteca. Poi abbiamo aperto noi, nella nostra missione di Tanà, un centro di accoglienza per quelli che uscivano -TONGA SOA (benevenuto) - perché ci rendemmo conto che quando lasciavano il carcere erano deperiti, sporchi, e non avevano nulla da mettersi addosso, né un soldo per ritornare al loro villaggio.

Tra l'87 e l' 88 aprimmo questa casa per aiutarli nel reinserimento. Potevano fermarsi alcuni giorni, fino a 3 mesi, per curarsi, riprendere le forze prima di rientrare in famiglia.

Insomma, l'attività è diventata sempre più vasta, con molte difficoltà a volte, ma il Signore era con noi, e abbiamo avuto degli avvenimenti da miracolo con i quali Lui ci diceva di andare avanti. Abbiamo anche realizzato una piccola fabbrica di carbone prodotto dai rifiuti. E poi abbiamo iniziato un'attività per sostenere le famiglie dei carcerati, i loro figli. Avevamo aperto 5 centri per i loro bambini, che erano in condizioni miserrime.

Avevamo preso la decisione di lavorare in silenzio e discrezione, senza gridare allo scandalo, né fare denunce, altrimenti ci sarebbe stato impedito di continuare il nostro lavoro e quindi di agire ed essere una speranza per i detenuti. Nel 1996 comunque, in occasione del 2° Incontro Nazionale dei Cappellani delle carceri, organizzammo una mostra sui problemi e realtà delle prigioni malgasce, esponendo anche delle fotografie, sempre con l'obiettivo di una umanizzazione delle loro condizioni. Fu uno shock molto forte per i visitatori anche perché le fotografie parlavano chiaro. Da allora nacque un gruppo di lavoro sui diritti umani che si riunisce ancora oggi ogni mese nella sede dell'Ambasciata americana. Noi ci siamo impegnati sempre di più per la difesa dei diritti dei carcerati. Dalla Francia mi fu conferito un Premio per la difesa dei diritti dell'uomo. Il nostro impegno per i prigionieri era riconosciuto dalle ambasciate e dal Governo malgascio. Sui giornali uscivano spesso degli articoli che parlavano della situazione delle prigioni ed encomiavano l'Aumonerie. Anche la televisione aveva occasione di parlare delle carceri. Si deve anche dire che il Ministro della giustizia parlava di un "programma di umanizzazione". Sollecitato da noi, aveva chiesto degli aiuti per far avanzare i processi di coloro che erano in carcere da diversi anni senza giudizio. Per il 2000 lanciai l'idea di un anno di perdono giubilare anche per i carcerati. Prima ci fu una reazione negativa. Poi invece trovai parecchi assensi e costituimmo una piccola commissione chiamata "Rève 2000" per trovare tutti i motivi positivi per una domanda di grazia speciale. Speravamo che l'anno giubilare, in quanto momento di festa e di perdono, potesse dare anche ai detenuti la possibilità di un ritorno a casa, e di ricominciare una nuova vita. Preparammo un documento nel quale si spiegava come la clemenza poteva essere molto più istruttiva che non la punizione. Lo presentammo ai vescovi, i quali lo diffusero come un appello al popolo malgascio e al governo, per liberare durante il 2000, Anno della Riconciliazione, almeno una larga parte dei detenuti per reati minori, spesso rinchiusi da molto tempo, e senza giudizio. Grazie a questa campagna, 3000  carcerati sono stati liberati! Per quanto ne so, il  Madagascar  è stato l'unico paese al mondo che ha concesso una grazia ai carcerati, per l'occasione dell'anno giubilare. E' stato un successo meraviglioso!

Nel settembre del 2000 abbiamo fatto una conferenza stampa sulla condizione di vita nelle varie carceri del paese, in particolare in una vi erano stati molti morti, proprio a causa del cibo e delle condizioni igieniche. Molti erano ammalati, scheletriti. Feci questa conferenza con l'intento di sollecitare un intervento immediato, perché non vi fossero altri morti. Ci fu una buona reazione iniziale, ma i responsabili delle carceri si sentirono offesi e denigrati.

...cosa è successo dopo…

Per la fine del 2000 avevamo preparato un "Colloquio" sulla detenzione. Partecipavano alla preparazione diversi organismi che si occupavano delle carceri e dei diritti dell'uomo nonché l'amministrazione penitenziaria. I tre temi erano: 1) la detenzione oggi; 2) la reinserzione; 3) un sistema penale per domani.

Nei vari incontri, dibattiti e riflessioni si era d'accordo sul fatto che le carceri così come sono oggi, non servono a nulla. Il mondo non migliora ma anzi peggiora. I grandi criminali in qualche modo riescono sempre a tirarsi fuori, solo i più poveri vi restano e le loro famiglie, i loro figli, pagano ingiustamente un pena inutile. Costituiscono una spesa fortissima ma senza frutto alla società. Infine, non dissuadono in nulla i criminali.  Più le pene erano dure, più aumentava la criminalità. Dicevo spesso che la violenza produce violenza …e mai tenerezza. Al male che questi delinquenti facevano e alla sofferenza che creavano, si procurava altra violenza e sofferenza, allargando così la spirale.

In occasione di questi Colloqui, parlò una volontaria della nostra Aumonerie. Raccontò molte irregolarità che avevamo visto nelle carceri : le torture, la fame, la mafia interna a cui i prigionieri erano soggetti . . .  Poi facemmo parlare due ex carcerati: un generale che  per  politica aveva passato dentro 15 anni, e un altro rimasto dentro anch'egli 15 anni, senza giudizio, per un furto semplice perché ...il suo dossier era andato perso. 

 I problemi a quel punto sono cominciati seriamente per noi, e fu la rottura tra noi e la Direzione Penitenziaria..  Tutte queste testimonianze furono interpretate come denunce di tipo politico, per denigrare i responsabili, e sono partiti in quarta contro di noi, contro l'Aumonerie des prisons, e in particolare… contro Padre Angelo. Prima c'era una grande  intesa e collaborazione, Io ero sempre lodato e ringraziato dal Ministro e i dai direttori. Avevo ricevuto la medaglia di Cavaliere dell'ordine Nazionale nel 1994 e di Ufficiale nel 2000. Ora invece… io cercavo di incontrare i responsabili per spiegare che se anche c'era stato qualche "errore di valutazione", non si poteva distruggere così una collaborazione durata 18 anni. Niente da fare, c'era l'interdizione di accogliermi al ministero. Telefonate, lettere, attese lunghissime per avere un incontro anche per informarli di situazioni gravi che si verificavano nelle carceri e farli intervenire prima di passare per la stampa. Qualcuno ci aveva fatto capire che volevano la mia pelle. Tutto era finito. Avevo ricevuto una lettera "confidenziale" in cui mi si accusava di tante cose. Lettera mandata al Cardinale e al Provinciale (poi ho saputo che era stata mandata anche ai capi carcerieri di tutte le carceri). A questo ha contribuito anche un articolo molto duro contro il Ministro e i responsabili, di un giornalista italiano su "Diario". Io credevo fosse un piccolo giornale e che non ci sarebbero state grandi ripercussioni, invece quell'articolo fu ripreso dal "Courrier International", tradotto in francese. Lo seppi prima del ministro della giustizia  e mi sollecitai a mandargli una copia  per dirgli il mio disappunto, e che mi dissociavo anche perché dava delle informazioni false. Niente: io ero considerato responsabile, poiché questo tale era entrato con me nelle carceri. Facemmo anche una disdetta sui giornali malgasci, ma non fu sufficiente per calmare gli spiriti, anzi.

Il Ministro della giustizia comunque, aveva più volte manifestato il desiderio che continuassi e dato ordini perché la collaborazione ritornasse come prima. I suoi subalterni, non fecero molto per questo. Il Ministro stesso aveva espresso il desiderio di darmi personalmente la medaglia prima del mio rientro definitivo in Italia. E difatti il 2 luglio 2001 ha consegnato a me e ad altri tre membri dell'Aumonerie una medaglia decorazione dell'Ordine Nazionale. Giusto alcuni giorni prima della mia partenza... Un grande documento molto diffamatorio era stato letto contro di me e l'Aumonerie nella riunione del Gruppo per i Diritti dell'uomo, dove erano presenti circa 60 persone, malgasci e stranieri.

La Provvidenza ha voluto che io fossi eletto Consigliere generale in Italia, e dovessi così rientrare. Ora sono a Roma, dopo una partenza molto sofferta. Per coloro che sono rimasti, ma anche per me, che ho lasciato il Madagascar dopo avervi speso 32 anni della mia vita. Ho preso comunque con fede la mia nuova chiamata. Non so cosa farò ma mi guida ancora la mia convinzione che il Signore ora ha bisogno di me qui. …Come il somarello nella domenica della palme.

Ecco una sintesi della mia vita. Alcune cose sono forse meno importanti. Qualche altra è rimasta dimenticata. Come i diversi rischi passati. …Decimi di secondi mi hanno fatto evitare di essere schiacciato da un treno merci... Un momento forte vissuto, forse per una specie di stregoneria, fattomi da una malgascia...

   

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