Marzo
2003 Quale educazione?
…Tra punti di vista e torte da
spartire
Sono contenta che la redazione di
Raggio mi dia l'opportunità di riempire queste pagine sul tema per il quale lavoro,
da tanti anni, in Italia e in Africa.
Mentre scrivo per il numero di
febbraio, è in corso il terzo World Social Forum di Porto Alegre, quello dei
grandi dell'economia a Davos, e al contempo gli ispettori delle Nazioni Unite
stanno concludendo la loro missione in Iraq, per la quale fino ad ora l'Onu
stessa si è pronunciata contro un intervento militare, mentre gli Stati Uniti
persistono nella convinzione che "dare una lezione a Saddam" sia un
impegno inderogabile al fine di salvare l'umanità intera.
E' sempre una questione di punti
di vista… E così anche l'educazione lo è, naturalmente. La pedagogia è per
antonomasia filosofia dell'educazione. Infatti, quale educazione si
voglia intendere e praticare, dipende sempre e in ogni caso dalla concezione che
si ha della vita e del mondo. In ogni epoca e contesto storico e geografico, si
trova una determinata concezione, relativamente al modo e agli obiettivi da
trasmettere alle generazioni future di una certa società. Così un tempo la
scuola era solo per i ricchi mentre per i miserabili era considerata una
follia, un'assurdità al solo pensarla; in altro tempo e altro luogo diventa
diritto fondamentale per tutti i bambini, una volta sancita la inoppugnabile egalité
degli esseri umani. Ancora, in altri tempi e luoghi tuttavia non è riconosciuta
l'egalité delle donne, alle quali è assolutamente vietato anche solo
imparare a leggere, e così via. A seconda delle epoche nonché dei partiti al
governo, vengono bruciati libri di un genere o di un altro, considerati talvolta
demoniaci, talaltra sovversivi. Vi sono poi le questioni razziali, le
concezioni che portano a separare categorie umane da altre, ecc.
Sempre e comunque il rapporto
educativo è portatore di valori di un tipo o di un altro. L'educazione quindi
non è assolutamente concepibile (benché molti ancora vi si illudano e
addirittura vi si prodighino) separatamente dalla politica.
La società occidentale del 20°
secolo ha stipulato tra i diritti fondamentali dell'infanzia anche quello
all'educazione. Al di là del fatto che non tutti gli stati aderenti hanno poi
ratificato la Convenzione (restano ancora fuori Somalia nonché Stati Uniti, che
del resto non firmano neppure Kyoto né tanto meno riconoscono il tribunale
dell'Aia per i crimini di guerra), resta comunque evidente agli occhi di tutti
che tale diritto è, fra i tanti altri, assolutamente non realizzato su scala
planetaria, e che i bambini e i giovani del mondo hanno a loro disposizione
fette e fettine assolutamente diverse di quella che è la "torta educativa
globale". Anzi ad alcuni non arriva proprio neppure una minima cellula
degli zuccheri che la compongono (e se qui noi abbiamo accesso a migliaia di
libri, riviste sugli argomenti più disparati, tanti titoli ed editori tra cui
scegliere i testi scolastici, che sono pieni di immagini colorate, nonché
possiamo accedere a milioni di pagine di internet, ebbene.. molti bambini del
sud del mondo non hanno neanche idea di cosa sia una semplicissima carta
geografica, non hanno neppure quaderni su cui scrivere, fogli per disegnare,
libri da leggere…).
Ancor più, in questa fase di
dibattiti tra Porto Alegre da una parte, Davos dall'altra, guerra forse
imminente (e in tal caso, forse catastrofica), visioni quindi diametralmente
opposte del mondo che si vuole (quella neoliberista e quella contraria al
neoliberismo), è chiaro che il
dibattito educativo deve diventare sempre più profondo, acceso, alternativo,
costruttivo. Perché è indubbio che se "un altro mondo è possibile"
(come cita da 3 anni lo slogan di porto Alegre con tutti i susseguenti Social
Forum locali che si tengono ormai in tutto il mondo) non lo si può costruire
senza meditare sempre di più sulle dinamiche educative-formative-informative.
Queste a loro volta sono sempre più connesse tra loro, nella misura in cui chi
di noi è nato in paesi democratici è convinto di poter scegliere
"liberamente" il proprio destino, ma sappiamo dalle tante analisi sui
meccanismi occulti dei media che questa libertà non è che pia illusione. Ora,
se su quest'ultimo tema vi è un'ampissima letteratura ormai da decenni[1],
sull'educazione specificamente, e in particolare sui problemi dell'educazione
nel sud del mondo, non possiamo dire la stessa cosa. Anzi. Sembra proprio una
terra di nessuno, se non dei pochi che vi lottano, con fatica, a casa propria.
Voci inascoltate tra le tante.
Per questo motivo questo spazio
che Raggio mi stimola a riempire sarà dedicato quindi proprio a questa
riflessione. Da qui il titolo interrogativo della rubrica (le risposte sono
sempre e in ogni caso da cercare; se le avessimo già, potremmo scrivere
d'altro), e anche l'accento all'educazione in generale. Avremmo potuto
scegliere un tolstojano "quale scuola?", ma la scelta è data proprio
dal fatto che non ci focalizzeremo solo sull'educazione formale, delle grandi
istituzioni, ma sui processi nella loro globalità e intersecazione. Anche su
quella Pedagogia di massa che costituisce l'essenza della vera
democrazia, che non è semplice vittoria della maggioranza, ma
responsabilizzazione e partecipazione di tutti, nelle forme più disparate che
si possano inventare nella trasmissione delle opinioni e del sentire[2].
Per questo oggi un'analisi dei modelli educativi proposti non può prescindere
dal connubio con l'analisi dei sistemi di potere, dal momento che - per esempio
- l'informazione che il mondo riceve è in mano a poche multinazionali, che sono
le stesse che detengono molto spesso anche il controllo su telefonia, grandi
gruppi editoriali, televisivi, produzioni e distribuzioni cinematografiche,
ecc. Dunque: una grande macchina volta all'omologazione dell'immaginario
collettivo (…per far in modo poi che funzioni la macchina del portafoglio di
ciascuno di noi) all'appiattimento culturale, linguistico, persino affettivo.
Questi articoli cercheranno quindi
da un lato di offrire temi di riflessione sui sistemi di valori proposti dai
modelli dominanti, cercandone di alternativi, e dall'altro di capire in che
modo noi del mondo ricco possiamo aiutare a far sì che la "torta educativa
globale" sia meglio distribuita, soprattutto che contenga ingredienti
diversi, non solo quelli forniti dalle
multinazionali dell'informazione, dell'immagine, della pubblicità.
Insomma, un piccolo contributo per cercare di costruire "un altro mondo possibile".
Silvia Montevecchi
[1] Si vedano le tanti analisi sociologiche delle più importanti scuole della comunicazione, ma ultimamente in particolare i testi e gli articoli di Ignacio Ramonet, uno dei padri ispiratori del Forum Mondiale nonché direttore di Le Monde diplomatique. Inoltre, molto interessante è anche il lavoro di ricerca nell'ambito di una Pedagogia della Resistenza che da vari anni fa capo al gruppo di Raffaele Mantegazza all'Università la Bicocca di Milano.
[2] E su questo, tanto abbiamo da imparare dai movimenti latinoamericani, che con rivoluzioni dal basso, più o meno silenziose, hanno spesso portato a cambiamenti politici che sembravano utopia solo pochi anni prima.